Negli ultimi 25 anni, sono stati tanti gli allenatori toscani che si sono accomodati sulla panchina azzurra. Segno che nel calcio, tra Napoli e la regione del centro Italia, è proprio questione di feeling

L’anno d’oro, l’anno atteso, l’anno desiderato. Quest’anno, probabilmente, ma solo perché non si ha ancora la certezza matematica, il Napoli che regna, domina, entusiasma in patria e fuori dai confini, sta finalmente per coronare un sogno lungo oltre trent’anni.

Lavoro lungo, progetto studiato accuratamente sia sul campo che sui conti bancari, scelte azzeccate, scommesse già praticamente vinte.

Napoli stellare: il frutto della fusione tra nuovi innesti a punti fermi

Il gruppo che strabilia in campo, le giocate dei singoli che lasciano pietrificati e ammutoliti gli avversari, e quel giovanotto in panchina che dirige l’orchestra in maniera straordinaria.
Luciano Spalletti il toscano.

Toscano col pedigree, come tanti come lui che hanno avuto modo, negli ultimi 25 anni, di sedere sulla panchina partenopea. Panchina spesso rovente, sottoposta al non sempre benevolo giudizio di una tifoseria, quella azzurra, fatta di tanto cuore ma anche di tanta pancia.

E se Lucianone sembra concretamente che stia portando a compimento il sogno scudetto per Napoli e il Napoli, oltre alla finora più che positiva cavalcata in Champions, come non ricordare chi vicino al sogno ci è arrivato, lo ha sfiorato, accarezzato e perso (non in albergo) ad un passo dal traguardo?

Sarri, Maurizio Sarri, il toscano di Figline, il bancario regalato al pallone, quello dei 91 punti senza scudetto nel 2018, quello di Mertens falso nueve, quello del Sarrismo vero e proprio, difficilmente replicato nella carriera dello stesso.

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Amatissimo ma anche criticato per le sue scelte successive all’avventura in azzurro ma ormai entrato a pieno titolo nella storia del club.

E, tornando indietro nel tempo, l’uomo del segnale orario, Walter Mazzarri, il toscano della bella San Vincenzo, per un anno vice allenatore e poi titolare per quattro anni sulla panca azzurra, tra partite vinte al cardiopalma e le prime, vere passerelle nell’Europa calcistica che conta.

Walter Mazzarri e il Napoli: il presente, il passato, i ricordi, i progetti

Vogliamo fare qualche altro passo indietro?

Renzo Ulivieri, proprio il titolare della panchina con Mazzarri vice.

Correva l’anno 1998 e il toscano di San Miniato resto per un’unica annata alla guida del Napoli, solo pochi anni prima della disfatta e dell’avvento di Aurelio de Laurentiis alla guida della società.

In ultimo, ma non certo per ordine di importanza, Marcello Lippi.

Da Viareggio con furore, una sola stagione alla guida del Napoli (1993-1994) ma poi entrato nel cuore degli italiani per la vittoria storica al mondiale tedesco nel 2006 e in quello dei bianconeri per aver vinto cinque campionati e una Coppa Italia.

Ma nemmeno Napoli ha dimenticato lui come gli altri che, in un modo o nell’altro, hanno tracciato un solco più o meno profondo nella storia della squadra e della città, legate indissolubilmente l’una all’altra.

Il Napoli che circumnaviga non per caso la ridente Toscana (anche il DS Cristiano Giuntoli è toscano), ne prende i pezzi pregiati e li porta in casa propria, mescolando cultura, estro, dissacrante ironia, talento.

Pregi e difetti sapientemente fusi in un mix che nel calcio è quasi magia. O alchimia.

E se Spalletti si appresta a portare il Napoli nella storia, chi lo ha preceduto è conservato nella memoria dei tifosi azzurri, tifosi di cuore, di pancia, di passione portata alle stelle, di eccessi al rialzo e al ribasso, di critiche feroci e di amore dimostrato in mille modi.

Mille, come i colori della Napoli di Pino Daniele.

Uno su tutti, l’azzurro, quest’anno più che mai, con tutta la sua storia addosso, finalmente in lizza per un posto al sole.

Simona Cannaò