Con la rete di Matias Vecino, la Lazio di Maurizio Sarri sale a 48 punti, sconfiggendo, per la prima volta in casa, il Napoli. La squadra di Spalletti, però, continua a godersi la vetta della classifica. 

Nell’insieme, tuttavia, Napoli-Lazio, ha messo di nuovo a confronto il passato e il presente della società partenopea. 

Da una parte, il passato, negli occhi del “comandante” tosco-napoletano Maurizio Sarri. Dall’altra il presente e il futuro più vicino, alla guida del tecnico, anch’egli toscano, Luciano Spalletti. 

Passato e presente a confronto, in un eterno collegamento tra punteggio, qualità, tecnica e record. 

Sì, perché, nell’ultimo anno di Sarri a Napoli, stagione 2017/18, si chiuse il campionato con il record di 91 punti, il più alto nella sua storia. 

In tre anni: 98 vittorie, 25 pareggi e altrettante sconfitte. Eppure, ciò, oltre al record di punti, non bastò a immortalare e dare al popolo napoletano, il tanto desiderato scudetto. 

Prestigioso titolo che invece, sembra essere sempre più vicino, e non lontano come una chimera, dalla bacheca dei trofei messi a segno, in questa stagione. 

“Questo Napoli fa impressione per quanto è forte. Forse rispetto al mio ha più fisicità e una rosa più profonda”. 

Queste le parole di Maurizio Sarri nei giorni precedenti alla sfida.

Ed ha ragione. La differenza tra i due “Napoli” è comprensibile, sottilissima, con quelle leggere sfumature che differenziano anche il tratto più somigliante. 

Spalletti ci dà la sua personale posizione: “È vero che ci portiamo una cultura di lavoro e un modo di stare in campo impostato da altri, vedo cose simili, ci piace andare in tuta a tutti e due, io anche quando passeggio porto le scarpette a 13, poi c’è l’idea di voler fare la partita e comandare il gioco.” 

Il Napoli di Sarri, che coniò il suo personale termine, Sarrismo, presente nel vocabolario della Treccani, fu infondo: La concezione del gioco del calcio propugnata dall’allenatore Maurizio Sarri, fondata sulla velocità e la propensione offensiva. 

Aggiungiamoci anche un tocco di corsa, ritmo, palleggio e una certa dinamicità nell’insieme, che lo resero il bel gioco, capace di incantare gli appassionati mondiali.

Rapidità, nell’insieme, che mancava, però, di quella fisicità e di quella caparbietà, che tanto rappresenta il Napoli “spallettiano”. 

Un Napoli, quello del passato, che sapeva essere bello, ma che si sgretolava, in un soffio, contro squadre che adottavano il famoso “catenaccio”, o che impostavano l’azione in modo da non far esprimere quella concezione.  

Mancava, inoltre, quel ricambio che tanto al “nuovo” Napoli, dà nuova forza in corsa.

Tanto bello, quanto debole, ma che nella sua bellezza si era espresso, favorendo quella che fu definita la vera rivoluzione calcistica. 

Sarri era diventato il Masaniello moderno, figura della Napoli seicentesca, che aveva guidato la rivoluzione del popolo contro il potere del viceré. 

Spalletti ha voluto ribadirlo: “Sarri è stato un po’ un Masaniello a Napoli, è stato capopopolo di una rivoluzione, io vedevo sempre in tv sul divano il suo Napoli”.  

Era un altro Napoli, diverso, molto diverso.

Ormai nessuno, della vecchia guardia è rimasto. Hamsik, Insigne, Mertens, Callejon, Allan, Jorginho… Una lista infinita di grandi nomi che con Sarri avevano cercato di dare il sogno alla città che lo attendeva. 

Quando Spalletti è arrivato alla guida della squadra, di quel Sarrismo era rimasto ben poco, trovando una squadra sempre più distante dalla Champions League.

Eppure, ha riferito ai microfoni nella conferenza prepartita: Io ho preso quello che volevo prendere, quando ho potuto sono andato a vedere le sue partite, sui campi di Castelvolturno ci sono ancora le sue linee di allenamento”. 

Scheletro di una squadra, che grazie a lui ha assimilato e fatto propria un’identità chiara, decisiva e dalle linee ben delineate, capace di incantare il calcio europeo, oltre che in Serie A. 

Fisicità, atletismo e dinamicità: qualità che si riscontrano nei tre punti cardine delle diverse aree. 

Kim Min-Jae, Zambo Anguissa e Victor Osimhen. Tre nomi chiave, che permettono alla squadra di riuscire ad impattare, nella forma integra, in ogni duello.

Per non parlare, poi, del recupero straordinario fatto da Spalletti su Lobotka, riprendendolo e riportandolo nella schiera dei giocatori più forti.

E l’attacco azzurro parla da sé. 

Un progetto che parte anche dalla fase difensiva, pericola, con i trequartisti Di Lorenzo e Mario Rui, e che si conclude con i goal, dei subentrati Simeone e Raspadori.

Un Napoli che diventa sempre più un progetto di vita e non soltanto, una stagione che deve portare ad un risultato. 

La corsa del Napoli ripartirà sabato 11 marzo in casa contro l’Atalanta, prima di rincontrare l’Eintracht di Francoforte. 

 

Rosaria Picale