Di festaioli e amanti della movida il calcio ne è pieno così come dimostra un vecchio articolo di “Golditaccoaspillo” ma, un capitolo a sé stante va dedicato a George Best.

Best, di nome e di fatto, non era soltanto un amante della bella vita era un cane randagio che aveva trasformato la sua bella vita in un dramma.
A metà tra paradiso e inferno ha incarnato l’icona per eccellenza del bello e dannato portando anche nel calcio l’ondata rivoluzionaria del 68.  Denominato il “Quinto beatles”, con accezione neanche poi così positiva come si potrebbe credere, fu il John Lennon dello sport. Sessantottino modello: capelli lunghi, fisico da urlo, occhi azzurri ammalianti, ribelle ma soprattutto di talento. A differenza di John Lennon però, non suonava né componeva poesie, ma fece comunque cantare il mondo e incantò con i suoi giochetti di gambe che, per chi ama il calcio, era più che poesia.
Scoperto da uno scout del Manchester United a 15 anni, giocò nelle giovanili per due anni per poi debuttare nella First Division a 17 e, per dieci anni fu la stella del Manchester. Diede inizio alla “venerazione” del numero 7 ed è con questo numero che nel 1968, da buon figlio dei fiori, consegnò la vittoria della Coppa dei Campioni al Manchester, titolo vinto per la prima volta da una squadra inglese. Inutile dire che alla fine dello stesso anno vinse il Pallone d’oro a soli 22 anni.
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La velocità con la quale raggiunse le vette più alte del successo, i soldi che arrivarono inevitabilmente senza che se ne accorgesse, la fama, la bellezza e la venerazione con la quale tutti lo acclamavano hanno fatto di lui il peggior nemico di se stesso facendo sì che sviluppasse un’abile dote di sregolatezza tale da raggiungere l’impossibilità di tornare indietro. Lui, lo stesso Best che aveva incantato il mondo con i suoi dribbling, considerato appunto uno dei più grandi dribblatori di sempre, la velocità, l’equilibrio e la facilità con la quale si sbarazzava dell’avversario, non le seppe sfruttare per sbarazzarsi anche del suo vero grande nemico: l’alcol.
Alcol, droga e sesso hanno lentamente spento l’aura di perfezione che lo circondava, celeberrima la frase “Ho speso molti soldi in alcol, donne e macchine veloci. Il resto l’ho sperperato” oppure ancora “Nel 1969 ho dato un taglio a donne e alcol. Sono stati i 20 minuti peggiori della mia vita”.  A 28 anni, i “Red Devils” stanchi di tutti gli scandali di cui Best si rendeva protagonista, decise di recidere il contratto che lo legava al Manchester. Senza squadra fissa iniziò a girovagare di club in club e di continente in continente. Intanto le sue condizioni di salute, fortemente compromesse dall’abuso di alcol e pasticche, peggioravano inesorabilmente fino al 2000 in cui, ben lungi dal mondo del calcio ormai, fu ricoverato in ospedale per gravi problemi al fegato per poi subire un trapianto due anni dopo. Nonostante il trapianto, l’età e la cagionevole salute, continuò a bere.  
Era il 25 novembre 2005 quando, a 59 anni in un letto d’ospedale, si spegneva definitivamente la sua leggenda. Poco prima di morire, si riconciliò con il figlio con il quale aveva avuto un rapporto difficile e, si fece fotografare dai tabloid inglesi mal ridotto com’era, foto pubblicate dal tabloid “News of the world” con le sue ultime parole “Don’t die like me”.
“Non so se è meglio segnare al Liverpool o andare a letto con Miss Mondo, per fortuna non ho dovuto scegliere”.
George Best 25 novembre 2005 – 25 novembre 2015
Egle Patanè