“Le altre squadre hanno i tifosi, noi siamo un Popolo” con queste parole un allenatore della Lazio conquistava l’intera tifoseria biancoceleste. Un popolo, una famiglia che anno dopo anno ricorda anniversari di vittorie, sconfitte, compleanni e lutti.

In questi giorni i laziali ricordano uno degli eventi più tragici della loro storia recente: la morte di Gabriele Sandri. Un ragazzo come tanti altri che seguiva le partite della sua squadra del cuore e che in una domenica di novembre di nove anni fa, mentre andava in trasferta con i suoi amici, perdeva la vita colpito da una pallottola sparata da un agente della polizia stradale. La cronaca di quel triste giorno è ormai nota: una stazione di servizio sulla A1 direzione Firenze, una chiamata al 113, l’arrivo della polizia nella direzione opposta, le sirene, uno sparo e una pallottola che attraversa l’intera carreggiata scansando auto e tir che in quel momento percorrono l’autostrada, per poi finire la sua corsa sul collo di Gabriele, uccidendolo.

Una tragedia che ha unito tutte le tifoserie italiane ed europee superando le divisioni geografiche e calcistiche fin dal primo momento, impedendo di giocare alcune partite di quella tragica domenica, per rispetto di chi come loro poco prima era stato tragicamente ucciso. In ogni partita di calcio in cui scende in campo la Lazio c’è sempre un coro a ricordare Gabriele anche tra i sostenitori della squadra avversaria. Gli striscioni in cui viene ricordato il tifoso vengono esposti in ogni curva, proprio a dimostrazione del fatto che la sua morte ha scosso non solo l’intero popolo laziale ma tutti i tifosi.

In prossimità dell’anniversario della sua morte gli striscioni e i manifesti si moltiplicano nelle strade della capitale per far sentire alla famiglia Sandri la vicinanza del popolo laziale, per tenere vivo il ricordo di un tifoso, e per cercare di colmare il vuoto lasciato da un figlio, da un fratello, da un amico.

Questo dramma è stato impropriamente associato al mondo ultrà, ma la verità è che Gabriele in quella stazione di servizio era un ‘un cittadino italiano’ come riporta l’effige posta in suo ricordo, era un semplice ragazzo in viaggio e che quella pallottola avrebbe potuto colpire chiunque. Un cittadino che doveva essere protetto, non assassinato da un tutore dell’ordine che e’ stato condannato, ma che non ha mai chiesto scusa ne’ alla famiglia Sandri ne’ a nessun altro.

Oggi ‘Gabriele vive’ nella fondazione ONLUS a lui intitolata, che si occupa di raccolta sangue e dell’assegnazione di premi letterari legati al mondo del calcio.

Oggi ‘Gabriele vive’ nei numerosi messaggi di cordoglio lasciati sui social da tante persone a 9 anni dalla sua morte.

Oggi ‘Gabriele vive’ nel cuore della Curva Nord.

Gisella Santoro