È il 14 febbraio del 1988 quando nasce Angel Di Maria. Bambino gracile e con le braccia lunghissime.

Lo soprannominano da subito “il fideo”, “lo spaghetto” a causa della sua struttura fisica. Nasce a Pedriel, quartiere difficile, la sua famiglia non è tra le più agiate del paese.

Lì la vita è durissima: papà Miguel, calciatore mancato a causa di un infortunio al ginocchio, è costretto a una vita a spezzarsi la schiena in una miniera di carbone. La moglie Diana lo aiuta. I tre figli, Angel compreso, si occupano delle consegne. La fronte bagnata dal sudore. Le ferite sparse qua e là. La pelle impastata dalla polvere. Questa era la condizione giornaliera della famiglia Di Maria.

E le mani di un bambino possono essere sporche di cioccolato, di gelato, di sabbia. Ma di carbone no. 

Angel Di Maria insieme a Mia durante ii festeggiamenti ella Champions League
immagine-fonte: marca.com

Il fideo è un bambino iperattivo: in casa rompe tutto giocando con il pallone. Il calcio gli pulsa nelle vene, è il suo sport: la mamma lo iscrive a 6 anni al Club vicino a casa:

“Per arrivare al campo d’allenamento ci voleva una mezz’ora buona. Mia madre mi portava in bicicletta: io, seduto, alle sue spalle e mia sorella sistemata quasi sul manubrio. Ha fatto tutto questo per tanto tempo, anche d’inverno”. 

Da subito si fa notare dai migliori taccuini del posto: “Bravino lo spilungone. Diamogli 26 palloni!”. Il Club Rosario Central gli offre questa cifra, se di cifra possiamo parlare:

“I miei genitori hanno rischiato di separarsi quando è arrivata la telefonata dal Rosario Central. Mio padre è un tifoso scatenato del Newell’s Old Boys, mentre mia madre è del Central. Una rivalità pazzesca!”.

Quei palloni promessi non sono mai consegnati ma da lì iniziò la sua scalata. 

Arriva la telefonata dal Benfica, il sogno di papà Miguel si avvera:

“Quando seppe che mi voleva il Benfica mi disse: ‘Questi sono treni che passano solo una volta nella vita, prendilo e va per la tua strada. Guarda avanti, non voltarti’. Quando ho accettato ero molto felice, non solo per me stesso ma anche per la mia famiglia. Dopo 16 anni passati a lavorare sotto terra e i tanti sacrifici fatti dissi ai miei genitori: adesso basta, a voi ci penso io”. 

Parte per il Benfica ma prima di lasciare la sua città natale si fa tatuare sul braccio sinistro, insieme ad altri amici d’infanzia, la frase: “Essere nato a El Pedrierel è stata e sarà la cosa migliore della vita”. 

Di Maria con la maglia della nazionale argentina
immagine-fonte: andina.pe

La sua carriera non era ancora immaginabile. Ma giorno dopo giorno continua a mettere in evidenza le sue qualità e si fa notare. Brucia le tappe. Indossa maglie del Real Madrid, Manchester United, Paris Saint Germain e diventa uno dei pilastri della nazionale argentina. 

La vita, però, nel 2013 gli riserva un’altra triste sorpresa: nasce prematuramente Mia, dopo soli 6 mesi. Il parto è complicato, urgente, difficile. I medici parlano di 30% di possibilità di sopravvivenza. Mia lotta e sopravvive. Il 24 maggio del 2014 scende in campo in braccio al papà al termine della finale di Champions vinta dal Real Madrid. Da quel giorno del 2013, ad ogni esultanza, Di Maria unisce le mani e crea un cuore. Lo fa pensando a lei. 

Sara Montanelli