Serse. Un nome altisonante che evoca Termopili, armi affilate e guerre feroci.

In verità papà Cosmi quando registra il figlio all’anagrafe non ha in mente questi scenari, bensì una scia di biciclette tra le quali sfreccia anche quella di Serse Coppi, fratello meno talentuoso del celeberrimo Fausto.

Un gregario, insomma. Altro che condottiero.

Serse tuttavia da gregario deve diventarlo subito, condottiero. Perché a soli 14 anni quel papà appassionato di ciclismo viene a mancare e lui deve immediatamente mettersi a pedalare. A Ponte San Giovanni, a due passi dal Tevere in quel di Perugia, cresce in fretta.

Come armi – a differenza di quel Serse dei libri di storia – solo la grinta, la passione e una straordinaria forza di volontà. 

Impara giorno dopo giorno a “cavare il sangue dalle rape”, insegna  – passo dopo passo – che da tutti si può pretendere il 100% e anche di più. Questa sua capacità incredibile si rivela già dalle prime panchine alla Pontevecchio.

Dare il massimo con quel poco che si ha.

A bordo campo Serse sembra un tarantolato: urla, strepita, se potesse entrerebbe e tirerebbe anche un calcione ai suoi se ce ne fosse bisogno. Dalla Pontevecchio all’Arezzo, sempre con lo stesso atteggiamento, con quella fame di vittorie e di una vita consumata forse troppo velocemente  per un uomo ancora così giovane.

Uno così non può sfuggire a Gaucci, il Patron di casa, di quella Perugia tanto amata e che incredibilmente si presenta come un sogno a Cosmi, nell’anno 2000. La sfida più bella nel luogo natìo. 

La sua carica travolge il gruppo dei biancorossi spingendoli a risultati insperati per la qualità in esso presente. Sempre con l’immancabile berretto e con il suono del Tevere che scorre nelle sue vene, Serse Cosmi sembra trasformare in oro tutto quello che tocca.

Da Marco Materazzi a Fabio Grosso, da Liverani a Zè Maria, tutti devono dare il massimo, e non ci sono santi.

Cosmi Materazzi
Eurosport

È quel Perugia che arriva in Coppa Uefa, che vince l’Intetoto, che fa del gruppo e del cuore le armi vincenti (e taglienti, per tornare alle Termopili, quelle dell’altro Serse). 

In nome di quegli anni meravigliosi che Cosmi ha accettato per la seconda volta di tornare lì, sul Lungo Tevere, a prendersi cura del suo Perugia. Perché per lui:

“Allenare è una cosa, allenare qui un’altra”.

 

Una decisione presa solo per amore, quello stesso che lo ha sempre spinto a dare tutto quello che aveva, a arrivare a fine partita quasi più stremato di chi aveva corso per 95′. È la sua storia, del resto: quella di un uomo che vuole rubare alla vita tutto ciò che può e anche di più, pronto a scavare lungo gli argini – come quel fiume, lungo il quale ha vissuto – per avere sempre qualche nuova pietra da lavorare.

Con un pensiero anche per chi lascia,  perché chi entra nel suo mondo non ne esce mai del tutto:

“Devo dire grazie anche a Massimo Oddo, perché mi lascia una squadra nei playoff e non come è successo nelle mie ultime esperienze, nei bassifondi. Lo chiamerò una volta che avrà smaltito la normale delusione, è un ragazzo che ho anche avuto il piacere di allenare, straordinario. Ed un grande professionista”.

Inutile dire che a Perugia stanno sognando tutti a occhi aperti. Tanto, troppo è il desiderio della piazza biancorossa di tornare finalmente in massima serie. E chi meglio dell’Uomo del Fiume per tentare l’impresa?

Buona fortuna, Mister!

Daniela Russo