Irruento e fantasioso in campo, Camoranesi è stato uno dei più grandi protagonisti del calcio italiano

 

In campo è irruento, litigioso, rude.

E’ spesso una sorta di anarchico del pallone: ogni tanto fa falli ingiustificati, guadagna cinque espulsioni, ai Mondiali non canta l’Inno d’Italia come tutti si aspettano, fa gesti poco eleganti, litiga negli spogliatoi, è l’ultimo a festeggiare.

Di contro Mauro German Camoranesi, di questo esterno di talento vi parlo, è stato uno dei più grandi protagonisti del calcio italiano degli anni 2000.

Reclutato inizialmente dal Verona, primo straniero trasferito in Serie A dal campionato messicano, nel 2002 arriva alla Juventus vestendone la maglia per otto stagioni.

Con i colori bianconeri, Camoranesi gioca 288 partite e segna 32 gol, vince uno Scudetto (2002-2003) e due Supercoppe (2002 e 2003); nonostante la retrocessione in Serie B, rimane nella squadra contribuendo nella stagione 2006-2007 alla vittoria del campionato con la conseguente riammissione del club nella massima serie.

 

Camoranesi con l’Italia gioca due Europei (2004 e 2008) e due Mondiali (2006 e 2010); ha vinto il titolo di Campione del Mondo in Germania nel 2006 ed è l’oriundo (è argentino naturalizzato italiano) che ha totalizzato più presenze con la Nazionale italiana.

Il mio ricordo più emozionante legato al suo nome risale proprio al 2006 e a quella partita perfetta del 9 luglio contro la Francia, giocata sul prato dell’Olympiastadion di Berlino.

Camoranesi gioca senza risparmiarsi per 84 minuti, con i calzettoni abbassati per un problema ai polpacci, ferma in tackle Zidane.

Il resto della partita è storia; finita in parità, vinta ai rigori per 5 a 3.


Ho fissa nella mente l’immagine di esultanza della nostra Nazionale e soprattutto quel cerchio al centro del campo che ha incuriosito milioni di telespettatori; all’interno del quale Oddo, armato di forbici, taglia la crocchia di Camoranesi in mondovisione.

Come un pegno da pagare per la gloriosa vittoria.

Delle tante definizioni di Camoranesi, ho scelto di concludere con quella di Emanuele Gamba: “Un’ala di quelle che c’erano una volta, ondeggia con il pallone tra finte e dribbling, ama la fantasia senza ostentarla, ha momenti di tradizionale cattiveria sudamericana e lampi di genio selvaggi”.

Un genio selvaggio del pallone, insomma.

Silvia Sanmory