Gabriel Omar Batistuta, l’indiscusso campione del calcio mondiale, indole spensierata e carattere determinato, è diventato calciatore per un’opportunità svanita…

La felicità, come insegna Trilussa, sta nelle piccole cose.

Una canna da pesca.
Un calcio ad un pallone per le vie di Reconquista, in Argentina.

La felicità è quella di Gabriel Omar, bimbo e adolescente paffutello, perennemente spensierato nonostante le ristrettezze della famiglia.

Gabriel è Batistuta, classe 1969, futuro campione che i più ricorderanno ribattezzato come il “Batigol” e il “Re Leone” (per la sua capigliatura bionda), uno dei più forti attaccanti di tutti i tempi.

Una vita di successi e soddisfazioni in campo ma soprattutto di determinazione da quando, sedicenne, inizia a dedicarsi al calcio, all’epoca con un primo nomignolo identificativo appioppatogli dai compagni, il “gordo” ( il grasso), per quel sovrappeso che si porta dietro.

La sua prima “squadra”, in realtà è un gruppetto di amici che si ritrova a tirare calci in porta in un campetto, si chiama “Grupo Alegria”. Ma al calcio, come professione, in realtà, Gabriel non pensava; ci arriva come ripiego dopo gli scarsi successi ottenuti con il basket, il suo sport preferito.

La vita è strana, un’occasione che sfuma apre le porte ad un’occasione che si concretizza…

Viene notato da un “reclutatore” e finisce nelle giovanili del Newell’s Old Boys di Rosario per esordire poi in prima squadra nel settembre del 1988 contro il San Martin; ma la consacrazione come “grande promessa”, citando la cronaca sportiva del tempo, avviene nella semifinale di Coppa Libertadores, avversario il San Lorenzo.

Dopo un periodo al River Plate con un avvio promettente stoppato poi da mesi di panchina, Batistuta approda al Boca Juniors e qui “El Camion”, come viene chiamato per il suo attacco potente, inizia a segnare ripetutamente.

Un’abilità d’attacco sia di piede che di testa che non sfugge a Vittorio Cecchi Gori, all’epoca viepresidente della Fiorentina, che lo vede giocare nella Nazionale Argentina e lo recluta ad inizio degli anni Novanta in maglia viola.

Nonostante le difficoltà iniziali di adattamento, la caparbietà di Batistuta ancora una volta prende il sopravvento e l’argentino diventa uno dei cardini della squadra, ancora di più dopo che un suo gol batte la Juventus per 1 a zero nel febbraio del 1992 e si susseguono le sue reti.

(Fonte Twitter)

Nonostante il suo impegno però la Fiorentina retrocede in Serie B ed è in quel periodo che Batistuta si adopera per riportare la maglia viola nella massima serie, e insieme ai compagni di squadra ci riesce nel 1994. Proprio in quel periodo al calciatore vengono riconosciute ancora di più le sue indubbie doti carismatiche, di leader, e la sua tenacia e lealtà.
La squadra risorge e la fama di Batistuta cresce: capocannoniere di serie A nella stagione ’94 – ’95, l’anno seguente la Fiorentina è al terzo posto nella classifica del Campionato e batte l’Atalanta vincendo la Coppa Italia; non solo: a San Siro con una folgorante doppietta batte il Milan e porta a casa la Supercoppa di Lega.

E’ il 2000 quando l’attaccante passa nelle fila della Roma, squadra con la quale vince il suo primo Scudetto. Concluderà la sua carriera, dopo un passaggio all’Inter, con la squadra del Qatar, Al-Arabi, nel 2005.

Quello che ne segue non sarà un periodo facile per Batistuta, con dolorosi problemi fisici dovuti ad un’operazione alle caviglie che si ripercuoteranno anche a livello psicologico, tanto da indurlo a chiedere addirittura ai medici l’amputazione delle gambe.

(Fonte fotografica Il Giornale)

Ma il secondo miglior goleador della Nazionale argentina, che ancora oggi ha qualche problema a camminare agevolmente, non si arrende e riesce a ritrovare la spensieratezza:  “La felicità la si può sempre trovare – ha dichiarato di recente in un’intervista – facendola passare attraverso altre cose”.

Silvia Sanmory