‘Ci hanno tolto tutto’
Così Marcelo Gallardo, alla vigilia, apriva a quella che era stata definita la partita del secolo. Con un tono triste e malinconico di chi solo chi vive l’esilio può avere, con lo sguardo nero e intenso, deciso ma triste di chi è costretto a restare forzatamente fuori da casa propria. E chi meglio di lui può saperlo? Lui che già alla Bombonera era stato relegato non solo lontano dal suo posto, la panchina, persino bandito fuori da quelle mura, che dalle finestre della camera d’albergo dove era rimasto a seguire il suo River sembravano immensamente spesse e invalicabili.
Eppure il battito del suo cuore ha trafitto quella barriera gialla e blu che spicca e primeggia nella variopinta Boca fino ad arrivare su quella panca così lontana, riuscendo a trasmettere a quei ragazzi lì seduti, i suoi ragazzi, quella garra ‘que el mas grande de todos puede tener’.
E di garra si è trattata, all’andata come al ritorno.
Nella finale d’andata, giocata alla Bombonera, quando ancora tutto sembrava la favola che gli argentini avevano tanto agognato, sono gli Xeinezes ad andare in vantaggio; la prima volta con Abila e la seconda con Benedetto ma i Millionarios la garra ce l’hanno nel sangue e la rivalsa è l’amor che move il sole e l’altre stelle dei biancorossi per conquistare questa finale di Copa Libertadores e prima Pratto poi lo sfortunato Izquierdoz che sbaglia l’anticipo e segna nella porta sbagliata, smorzano le distanze e permettono al River di riacciuffare i boquensi, non una ma,ben due volte ed è esattamente così che finisce alla Bombonera: in equilibrio.
Con un pari tondo e perfetto dal quale ripartire nel match di ritorno, quello che sarebbe stato l’ultimo atto, o per dirla più fedelmente l’atto finale. Dall’11 novembre al 24, un’attesa infinita avrebbe attanagliato le menti della stragrande maggioranza della popolazione di Buenos Aires per quel derby che era molto più di un semplice Superclasico.
E più che gli argentini ad essersi immersi nell’evento, è il Superclasico a trasudare pezzetti di Argentina in tutte le sue forme ed espressioni
Dalla Boca al Núñez, da un barrio all’altro di Buenos Aires per vivere quel piccolo miracolo che la storia del calcio ha voluto che si verificasse giusto in tempo prima di cambiare pelle. Dalla prossima stagione verrà soppressa la doppia finale, e così come in UCL l’atto finale sarà uno e uno solo. Non si era mai verificato un Superclasico in finale di Libertadores, e per gli argentini, nella terra dove tutto è affidato alle manos de Dios, il miracolo è proprio questo: riuscire a giocare la finale di Libertadores tra Boca e River e riuscire a farlo in tempo per giocarla in entrambi gli stadi.
E come non considerarlo un dono del cielo?! Ma spesso l’animo umano è più debole di quanto ci si auspichi e la stupidità è uno dei limiti che l’essere terreno talvolta implica e come chi non vuole saper cogliere e accogliere quanto di più bello il mondo regala, spreca quella che sarebbe potuta essere la pagina più bella del calcio argentino contemporaneo.
A Buenos Aires si consuma l’Apocalisse e a perdere non solo l’Argentina
Sassi, spray urticante, manganelli e fumogeni sostituiscono striscioni, bandieroni e sciarpe e quella che sarebbe dovuto essere un boato di gioia si trasforma in un caos senza precedenti. Il panico dilaga e la violenza prende il sopravvento e di quell’evento atteso tutta una vita da quei nonni che avrebbero voluto raccontarne le gesta ai nipoti, magari non ancora neppure nati o troppo piccoli per viverlo, rimane un cumulo di cenere.
Tutto si ferma, nessun Superclasico si giocherà, non quel 24 novembre almeno, nonostante il primo tentativo di forzare le cose da parte della Conmebol di far comunque giocare, questa partita non s’ha da giocar. Rimandata al giorno successivo, ad un paio di ore dal fischio d’inizio viene rimandata ancora e stavolta a data da destinarsi.
Quanto accaduto è imperdonabile, l’autobus del Boca – secondo quanto riportato dai presenti – non era stato scortato, tantomeno militarizzata bene era la zona in cui è avvenuto l’inaccettabile. La decisione da prendere per il da farsi è imminente: il Boca, memore dei fatti molto simili accaduti tre anni fa al Monumental, chiede la vittoria a tavolino; la Comnebol rifiuta, la finale si giocherà.
Una volta decise data e luogo, fissate per il 9 dicembre al Bernabeu, altre polemiche si sollevano, in Argentina come nel resto del mondo: Il River e la maggior parte degli argentini in generale non prendono bene la decisione di giocare al di fuori dell’Argentina e addirittura del Continente ma non c’è nulla da fare, la Comnebol inamovibile non vira altrimenti. Ma alla fine, dopo tanto naufragare il fantomatico giorno giunge e quella fine che sembrava non arrivare, arriva.
9 dicembre 2018
Quello che è il clima fuori dal Bernabeu non ho purtroppo il piacere di dirlo, ma le immagini che arrivano da Madrid di quello spiazzale attorno al Bernabeu, suddiviso a zone, militarizzato all’inverosimile per evitare altri drammatici episodi, Millionarios da una parte, Xeinezes dall’altra.
Bianco e rosso, polizia, corridoio neutro, ancora polizia, blu e giallo: un’immagine che inevitabilmente sancirà sempre una parte di quella che poi, dentro le mura di quell’immenso e sempre magico Bernabeu, sarà comunque una festa.
E’ mancato quell’amalgama di rosso e blu, bianco e giallo insieme che come coriandoli avrebbe reso tutto di una tinta e un colore più bello da vedere, assaporare, vivere e ricordare ma lì, dentro quel Santiago Bernabeu, uno dei simboli del calcio europeo per eccellenza, tutto muta.
E’ dentro ’La fábrica de los sueños’ che avviene, in realtà un altro miracolo: due mondi, tanto simili ma così lontani e diversi, si incontrano davvero come mai per la prima volta nella storia per quella che non potrà che essere la finale più memorabile della storia.
Il Fútbol dei due mondi si incrociano laddove ad essere il nuovo mondo, questa volta è l’Europa. La casa dei Campioni d’Europa ospita la finale che decreterà i Campeón de América e molto di più perché da Madrid decreterà le sorti di una Buenos Aires che poco dopo non sarà mai più la stessa. Tra il fischio d’inizio e il secondo triplice fischio (tempi regolamentari finiti 1-1) è qualcosa di inaudito e mai visto, non in quel di Madrid almeno, lì dove un portiere volante per quasi dieci minuti di gara non è pensabile neppure alla play station. Il River prova a condurre, il Boca sembra averne qualcosa in più se non altro perché sfrutta qualche dose di lucidità in più e infatti il Pipe Benedetto, a un paio di minuti dal duplice fischio, in contropiede su un pallone servito da Nahitan Nandez batte Armani e porta in vantaggio i boquensi.
Ma come all’andata, come alla Bombonera, i Millionarios ancora una volta lontani da casa, ancora una volta indissolubilmente legato all’animo del loro condottiero non temono esilio alcuno, né distanza da casa e nella ripresa entra una vecchia conoscenza italiana entra e cambia la partita. Juan Quintero, ex giocatore del Genoa, che dopo essere passato per Francia, Portogallo, Colombia, passa al River in prestito e gli consegna il più grande dei trofei. Il ‘Cammello’ cosiddetto, entra a partita in corso e solo dopo il gol di Pratto valso il pareggio, la sblocca soltanto a sei minuti dalla fine del primo tempo addizionale.
E’ il 109’ quando Mayada gli serve un pallone che si aggiusta e spedisce di forza sotto la traversa: esplode il Bernabeu, ma il vero boato è per le strade di Buenos Aires dove quel troppo protrattosi pareggio, quell’infinito pareggio iniziato quell’11 novembre sembra finalmente volgere al crepuscolo malgrado nessun Millonarios si senta ancora sereno di festeggiare.
Il Boca ci prova ma è ferito, il tempo scorre e la sensazione di essere inerme e impotente inizia a premere le meningi e appesantire le cosce, la partita si infervora e e arrivano due cartellini per parte praticamente insieme. Boca in attacco e tra l’accozzaglia di maglie blu nel tentativo di provare l’ultimo disperato guizzo in avanti spicca il completino verde evidenziatore di Andrada ma il River non dorme mai, scatta il contropiede e Gonzalo Martinez a campo aperto e a porta vuota, trafigge la rete e il cuore de ‘La Mitad Más Uno’ dei porteños.
Il tabù è spezzato, l’infinito stallo in perfetto equilibrio durato un mese meno due giorni cade spezzandosi.
Il giudizio universale è decretato, Buenos Aires non sarà più la stessa, la tragedia è adesso completa e finisce esattamente come le contingenze del caso, il destino, ma soprattutto il calcio giocato hanno voluto che finisse. Sì, il calcio giocato perché magari, in tutto questo trambusto in cui a perderci siamo stati tutti, alla fine futbol ha vinto.
‘Bisogna avere un caos dentro di sé per partorire una stella danzante’, disse un certo Friedrich un tempo, e allora, forse da quel caos possiamo cogliere una stella nuova: un crossover che ha mutato per sempre il corso della storia del calcio.
Egle Patanè