Crisi Roma: risultati, mercato, sfiducia; alla base di tutto c’è la politica societaria

Una partenza con il botto, l’ennesimo rimpasto ai vertici (dall’allenatore al DS), un mercato estivo doloroso ma necessario, la lotta per conquistare i primissimi posti in classifica e quel passaggio del turno in Champions che ha fatto sognare tutti, poi, il buio.

La Roma di Pallotta fino ai primi giorni di dicembre ha mostrato a tutti di avere carattere, grinta e spirito di iniziativa, il Mister ha sfruttato al meglio ogni pedina riuscendo ad incanalare ogni giocatore nella giusta dimensione, ma all’improvviso qualcosa si è rotto, il meccanismo si inceppa, è sono venuti a mancare risultati e certezze. La squadra arriva a sfaldarsi in modo inspiegabile, sale la tensione, i tifosi cercano di comprendere il momento. Poi l’esclusione al primo turno di Coppa Italia contro un Torino non eccezionale e la parabola discendente prende velocità. La Lazio scala la classifica superando i giallorossi, infine, la Sampdoria decreta l’ennesima stagione deludente con una sconfitta che fa male e non per il risultato in sé, ma per il clima che si respira intorno all’ambiente giallorosso. La debacle all’Olimpico infatti, arriva in un momento delicato, quando si diffondono in modo ambiguo le voci di una possibile cessione dell’attaccante giallorosso più prolifero: prima la certezza, poi la smentita, poi l’accordo con il Chelsea di Conte, infine i dubbi del giocatore che chiede garanzie che sa di non poter ottenere, il tutto con il rischio appena sfiorato di perdere anche il Ninja –l’affare Nainggolan salta solo per questioni burocratiche con il club cinese dove sarebbe dovuto approdare e non per una non volontà della dirigenza-.

Il mercato della Roma si chiude con l’acquisto del terzino sinistro Jonathan Silva, arrivato dopo uno stop per una lesione al collaterale del ginocchio destro, con la formula del prestito con obbligo di riscatto per 5,7 mln di euro, il 23enne argentino dello Sporting Lisbona, va a colmare la cessione a titolo definitivo di Emerson Palmieri al Chelsea, senza contare l’addio di Hector Moreno, passato alla Real Sociedad ed il prestito di Castan al Cagliari: un mercato che non accontenta nessuno, anzi, pone ulteriori dubbi sul futuro della squadra.

La situazione societaria non convince né i media né la tifoseria che si sente nuovamente tradita dalle tante promesse fatte ad inizio stagione. Il dato più sconcertante arriva dalle affermazioni del CDA, che ancora una volta antepone le esigenze economiche ai risultati in campo: le dichiarazioni rilasciate dal direttore generale della Roma non convincono la piazza, la Roma spende troppo.
Spende per gli stipendi circa l’80% dei ricavi e non riesce a colmare il debito ereditato dalla precedente gestione – solo in parte ammortizzato- : ad oggi ci sono ancora 230 mln di debito, di cui 40 in scadenza tra Aprile e Maggio; le entrate relative al marchio sono ancora troppo basse (circa 23mln) e l’unico modo per ridurre il gap restano la strategia delle plusvalenze e la Champions, inoltre la società americana punta allo Stadio di proprietà per aumentare i fatturati. Neanche troppo tempo fa, fu Pallotta, durante una conferenza stampa, a spiegare i motivi di questa strategia gestionale; lo Stadio porta introiti (ad oggi grandi marchi e sponsor snobbano una società come la Roma e Roma stessa, perché non in grado di ospitare grandi eventi, sia in termini di strutture, infrastrutture che di ricettività, pertanto potenziali capitali che potrebbero interessare la Roma, vengono veicolati verso quelle realtà capaci di mantenere gli standard richiesti).

Cosa c’entra questo con la crisi che sta investendo la Roma?

La risposta è semplice, finché la Roma non riuscirà a produrre ricavi da fonti esterne, dovrà investire sui giocatori, investire sui giocatori vuol dire creare plusvalenze, creare plusvalenze, vuol dire acquistare a poco per rivendere ad un prezzo superiore e la Roma in questo sembra essere davvero brava.
Nel discorso gestionale, ricavi, sponsor, stadio, conti in rosso, si guarda solo con occhio speculativo sul campo ed i giocatori alla fine diventano pedine di un gioco avvilente che li reputa solo numeri su cui puntare senza tener conto del capitale umano: ad oggi ogni giocatore della Roma è, detto con le parole del DS Monchi, “Cedibile”, quindi? Il gioco e i risultati passano in secondo piano, le prospettive di rimanere un giocatore della Roma si annullano e psicologicamente venire alla Roma diventa solo una vetrina, creando instabilità ed insicurezza.

La crisi della Roma è racchiusa in questo ragionamento, non si possono avere certezze e il singolo è chiamato a dare di sé un’immagine univoca. In campo gli atleti non giocano più per inseguire un obbiettivo comune, il meccanismo che Di Francesco aveva costruito, cercando di coinvolgere tutto l’organico per non far sentire nessuno escluso ma parte di un progetto, viene inevitabilmente a mancare e quello che vediamo ad ogni incontro è il risultato di questa politica assurda e la mancanza di un vero leader, capace di trascinare il gruppo, rende il tutto ancora più avvilente.
Lo stesso Florenzi, prossimo futuro capitano della Roma (quando De Rossi lascerà il testimone -presumibilmente già nel 2019-) e in attesa del rinnovo contrattuale con un aumento di stipendio all’altezza del ruolo, si rende protagonista domenica di una performance non troppo “sentita”, sbaglia il rigore concesso alla Roma ed a fine partita, dopo la sconfitta, non risponde all’invito della curva che chiamava a gran voce i giocatori per contestare la striscia negativa e la mancanza di impegno, rifugiandosi frettolosamente negli spogliatoi insieme al resto della squadra, salvo poi venire a conoscenza di un’ordinanza specifica dettata dal Questore Marino che vieta ai giocatori di recarsi sotto la curva in situazioni come queste, per evitare possibili tensioni ed intimidazioni.

Il rifiuto ha lasciato però il segno, uno strappo tra lui ed il tifo giallorosso che prende questo gesto come una mancanza di rispetto verso chi da sempre e nonostante tutto, segue la squadra con il cuore e tanti sacrifici, nell’era dei social poi, quelle che una volta erano considerate “critiche” si trasformano in vere e proprie offese, “siamo in un tunnel”, dichiarerà alla stampa, “la voglia di uscire e l’impegno per farlo non mancano, abbiamo creato tanto, ci è mancata un po’ di fortuna”, ma la sensazione è che non si abbia minimamente idea di quanto questa crisi stia avvolgendo la squadra della Capitale e tutto quello che gira intorno ad essa.

Laura Tarani