“Io faccio così non per esibizionismo, ma perché sono così; perché anelo alla libertà assoluta e questi capelli, questa barba sono uno dei segni di libertà.
Può darsi che un giorno cambierò quando la mia libertà sarà un’altra”.

Parole di Luigi, detto Gigi, Meroni, indubbiamente un calciatore fuoriclasse ma anche un personaggio poliedrico, stilista, pittore, bohemien che girava con una Balilla con all’interno un abat-jour.

 

Faceva tante cose Gigi, soprattutto faceva l’uomo libero; libero da costrizioni anche nelle scelte amorose (conviveva con Cristiana, all’epoca separata dal marito, roba da codice penale a quei tempi), impeccabile in campo e negli allenamenti ma rigoroso nel mantenere le sue scelte individuali come quando per principio rifiutò la Nazionale per non doversi tagliare i capelli.

Atipicamente anticonformista, considerata l’epoca (siamo negli anni ’60 dell’Italia del boom economico) nella quale il moralismo era sempre in agguato, non faceva sconti a nessuno e i vezzi (come quello noto di andare a spasso con un gallina al guinzaglio) facilmente fraintesi.

Originario di Como, classe 1943, Meroni comincia a calciare un pallone in un oratorio, quello di San Bartolomeo, con la squadra Libertas.

Crescerà nel vivaio del Como Calcio sino alla chiamata, nel 1962 a diciannove anni, tra le fila del Genoa, club che in quegli anni era secondo per numero di scudetti vinti soltanto alla Vecchia Signora.

In realtà prima ancora che il Genoa a puntare gli occhi sul giovanissimo attaccante è l’Inter, ma la mamma di Gigi si oppone per quei viaggi in treno che il figlio avrebbe dovuto fare da solo e che le fanno un pò paura…

E così per sbarcare il lunario Gigi inizia a lavorare come disegnatore di tessuti e cravatte, in realtà un lavoro che lo appassionerà a tal punto da continuare anche in seguito a realizzarsi i vestiti.

E’ il 1964 quando dal Genoa passa al Torino, acquistato per 300 milioni di lire, una cifra record vista la sua giovanissima età; allenato da Nereo Rocco, con la maglia numero 7 Gigi diventa l’autore di 25 gol che ancora oggi sono ricordati per la loro valenza ma soprattutto diventa un portentoso assist man che permette ai compagni di squadra di segnare; in un certo senso è grazie a lui che gli passa la palla sempre al momento giusto che Nestor Combin ritrova stimoli e successi con la maglia Granata addosso.

Meroni è un campione fatto di tecnica e di istinto, amatissimo dai tifosi del Toro che non ci pensano un minuto a scendere in piazza per protestare quando all’orizzonte compare la Juventus che cerca di portare via il talentuoso attaccante con un’offerta elevatissima (750 milioni). Si dice che a far desistere l’avvocato Agnelli dal proseguire la trattativa furono anche i suoi operai in catena di montaggio alla Fiat che minacciarono di incrociare le braccia…

Gigi dunque è stato un vero e proprio emblema del Torino, scippato al pallone e alla vita da un destino brutale.

E’ il 15 ottobre 1967; il Torino ha appena sconfitto la Sampdoria per 4 – 2.  

Un’esultanza che si spegnerà nella notte.

Gigi attraversando a piedi corso Re Umberto per tornare a casa, nella sua leggendaria mansarda di piazza Vittorio, viene travolto da un auto; morirà poche ore dopo.

Ironia della sorte beffarda, ad uccidere Meroni un giovanissimo tifoso Granata,  Attilio Romero, che trent’anni dopo diventerà presidente del Club. 

Ai funerali praticamente è presente coralmente tutta la città, tutti i tifosi Granata ammutoliti da un’altra tragedia dopo quella di Superga, increduli per quell’inquietante quasi omonimia tra la loro Farfalla Granata, come Gigi veniva chiamato, e il pilota di quel volo sfortunato (che si chiamava, per l’ appunto, Pierluigi Meroni).

La domenica successiva, in campo contro la Juventus, il Toro implacabile, rabbioso, disperato vincerà il derby per 4 a zero (tre dei quali realizzati da Combin come aveva predetto la settimana prima lo stesso Meroni), le bandiere ammainate, la fascia destra dove di solito giocava Meroni ricoperta di fiori colorati. 

Leggeri, mossi dal vento, a pennellare il campo come la tela d’addio della Farfalla.

 

Silvia Sanmory
(Immagini tratte da torinooggi.com, wikipedia, toronews.net)