Correva l’anno 1982 quando Enzo Bearzot portò l’Italia sul tetto del mondo. Lo ammettiamo, purtroppo (o per fortuna), molte di noi non erano ancora nate, altre erano delle bambine che vissero le emozioni di un paese che fu inaspettatamente travolto dai colori Azzurri.

Correva l’anno 1927 quando, in provincia di Udine, nacque colui che sarebbe stato un’eroe nazionale prima, un mito assoluto poi.

Da calciatore ha indossato le maglie di Inter, Catania e Torino; nel ’64, con i Granata, inizia la carriera da allenatore avendo come maestro ebbe un certo Nereo Rocco; dopo 3 anni passa al Prato e, agli inizi degli anni ’70 entra nel giro della Nazionale, prima come assistente di Valcareggi, poi come secondo di Bernardini e, nel ’75, come commissario tecnico.

Prima del trionfo del quale è stato artefice le cose in Azzurro non furono semplici.

Fallì la qualificazione all’Europeo del ’76 -condividendo la panchina con Bernardini-. Al Mondiale del ’78, la sua Nazionale, esprimendo un buon gioco, terminò al quarto posto. Stessa sorte all’Europeo dell’80 – giocato in Italia- . Nell’82 gli Azzurri partirono per la Spagna sotto una pioggia di polemiche e critiche feroci che resero l’impresa qualcosa di davvero epico.

Tutti per uno uno per tutti“, come nelle migliori epopee, il Vecio (questo era il soprannome di Bearzot) e i ragazzi nei quali aveva creduto seppero mettere a tacere tutti e sorprendendo un intero Stivale, scrissero alcune delle pagine migliori del calcio italiano. Sconfiggendo in successione Argentina, Brasile e Polonia prima della storica finale con la Germania Ovest, vinta per 3 a 1, nel­la notte di Madrid, l’11 luglio 1982, Enzo Bearzot sale nell’Olimpo del calcio assieme ai suoi ragazzi.

Fu una di quelle notti indimenticabili: ogni italiano ricorda dov’era la sera in cui l’Italia (la sua) si laurea Campione del mondo per la terza volta (la prima dal dopoguerra). L’urlo di Tardelli, i baffi  dello “zio” Bergomi, i gol del Pablito mundial, l’86enne Presidente Pertini in tribuna prima, poi sull’aereo a giocare a carte con gli eroi nazionali: sono tutte immagini che appartengono a generazioni intere.

Oggi, il nome di Bearzot è glorioso anche per chi, in quegli anni, non era ancora nato; la sua storia è tramandata di padre in figlio e il suo volto ha l’eccezionalità di essere, per tutti, familiare, anche dopo 90 anni.

Caterina Autiero