Accolgo la notizia di Daniele De Rossi nominato allenatore della Roma con una sorta di incontenibile euforia.

 

“Che t’importa, adesso sei diventata romanista?”, direte voi.

No, non è questo il punto.

È che, a mio avviso, Daniele De Rossi – nato e vissuto a Roma, storico numero 16 e Capitano della Roma, figlio della Lupa – è stato e sarà sempre una sorta di baluardo, non solo per la Capitale.

Fa parte di quella cerchia elitaria di bandiere – le ultime – che hanno attraversato la Serie A, di quelle che proprio la maglia se la sono tatuata addosso, con il lavoro, la dedizione e la perseveranza, non senza qualche scivolone giovanile ma rispondendo sempre presente.

Quando ami il gioco del calcio, queste cose le noti.

Se dici Daniele De Rossi, dici Roma. E non serve essere tifosi della Roma per notare che, sì, la chiamata della Magica sulla panchina arriva proprio il giorno 16 Gennaio: sedici, come quel numero per tanto tempo portato sulle spalle, tanto che ci vuole veramente poco a scomodare destino e cabala.

Non sono tifosa della Roma e non sono di Roma, ma sono una che ha visto crescere Daniele De Rossi, lo ha visto fare “passi lunghi e ben distesi” verso una maturità calcistica e comportamentale che non era scontato raggiungere, se ne ricordiamo i turbolenti esordi.

L’ho visto prendere consapevolezza dei suoi mezzi, imparare a essere giusto e leale verso le avversarie – basta pensare  ai suoi non banali elogi alla Juventus dei nove titoli consecutivi – e ho scoperto sotto quella apparente rudezza un uomo intelligente, sensibile.

Se dici Daniele De Rossi, dici Roma. Eppure ritorno  ancora con amarezza al suo epilogo come giocatore della Roma, a quell’addio così repentino quasi tra le lacrime – che inevitabilmente mi ha ricondotto a quello di Alessandro Del Piero.

Ho sempre avuto l’impressione che Daniele fosse amato – come è giusto che si ami una bandiera – ma che non abbia mai ricevuto l’intoccabilità – l’aura divina – conferita a Francesco Totti.

Che in qualche modo era destinato a uscire sempre sconfitto da qualsiasi paragone, e che quell’etichetta di Capitan Futuro, attaccata addosso per tanto, troppo tempo, potesse trasformarsi in qualcosa di poco piacevole.

E forse questo me lo ha reso ancora più simpatico, mi ha fatto tante volte dimenticare che fosse un rivale, l’ho sovente immaginato come una risorsa della quale chi ne godeva era, in fondo, fortunato.

Per questo  e per altro ancora la chiusura del cerchio oggi, 16 gennaio, mi fa effetto ed entusiasmo.

Che poi, sarebbe più giusto dire che il cerchio si apre, qui ed ora, perché parliamoci chiaro, tutto è ancora da vedere e Daniele De Rossi si è preso una bella gatta da pelare.

Lui sicuramente non ci dormirà, stanotte, e magari per molte altre notti a venire. Perché lo sappiamo com’è là, dalle parti dell’Olimpico, lo abbiamo visto tante volte, una bomba di emozioni che arriva e ti trascina.

Ma il mestiere dell’allenatore è spesso impietoso e il suo percorso irto di insidie.

 

Però resta il fatto che se dici Daniele De Rossi, dici Roma. E come tutte le armi a doppio taglio, bisogna metterli in conto entrambi, quei tagli.

Per adesso posso solo dire: in bocca al lupo, Daniele.

O forse sarebbe più giusto dire In bocca alla Lupa.

 

Daniela Russo