Sottratto dal suo Napoli, le cadute e le critiche: Sarri il comandante non molla. Così come in campo, con aggressività scrive la storia. Conquista Baku e diventa il primo allenatore italiano a conquistare la finale di Europa League

Mentre per la decima volta nella storia della Champions League (Coppa dei Campioni prima) conquistano la finale due squadre della stessa Nazione, per la prima volta della storia due squadre della stessa città, alla lista dei grandi risultati si aggiungono altre due squadre inglesi.

Sono finite le semifinali di Europa League e anche per l’Europa League il rettangolo verde ha designato le due finaliste. Entrambe inglesi. Per la prima volta nella storia a giocare le due finali d’Europa saranno squadre della stessa Nazione.

Sarri, il comandante perdente che in silenzio scrive la storia da lontano

Maurizio Sarri, history is yours!

Ma non è finita. A segnare un altra tappa di storia, non meno importante di quanto sopra, è un italiano. Il primo, per l’esattezza, a raggiungere la finale di Europa League.

Quell’italiano è Maurizio Sarri. Prima di lui ci era riuscito Alberto Malesani, nella stagione 1998/1999 alla guida del Parma. Ma a quell’epoca, il torneo si chiamava ancora Coppa UEFA.

Tecnicamente il primo italiano a finire nell’albo delle finale di UEL è appunto il tecnico toscano Maurizio Sarri. L’ex Napoli nella sua prima stagione al Chelsea ha alternato ottimi momenti a periodi cupi e sull’orlo del precipizio. I tifosi blues sono una tifoseria parecchio peculiare e mettere un tecnico sulla gogna è uno delle peculiarità del ‘Chelsea’ supporter‘ medio. E’ accaduto a Josè Mourinho come ad Antonio Conte lo scorso anno. E’ accaduto anche a Maurizio Sarri. Otto sconfitte, otto pareggi, ventuno vittorie in Premier non sono bastate per rendergli quella benevolenza a spada tratta da parte dei suoi tifosi che al contrario, complice qualche scomodo risultato tra cui il 6-1 contro il Manchester City, lo hanno più e più volte mandato sul tavolo degli inquisiti.

E allora Sarri rimugina. Masticando nervosamente a bordo campo cicche. Silenzioso e quasi mai nervoso. A volte sofferente, altri deluso, a tratti affranto. Mai senza idee. In silenzio, senza mai sbroccare, il toscano si è sempre affidato a se stesso, senza curarsi delle critiche che da metà stagione hanno iniziato a prender piede sostituendo quell’iniziale entusiasmo che il ‘Sarri-ball‘ aveva seminato in quel di Londra.

Testa a bassa e lavorare e quel che sarà sarà. Intanto possesso palla, pressing, passaggi corti, aggressività nella riconquista del pallone e occasioni da gol, il Chelsea al di là di tutto trova quell’identità che tanto necessitava nel dopo Conte, lì dove tutto sembrava perso in una diaspora di grandi calciatori ma senza coesione. Ad un inizio stagionale sopra le righe iniziano ad avvicendarsi problematiche di campo che la prevedibilità di manovra impone e quella distanza, fin troppo spesso disgiuntiva e scollante, tra prima e terza linea comincia a far incassare i primi gol, le prime sconfitte, le prime critiche.

Cadute che sembrano insormontabili e una leadership che vacilla, a tratti sembra frantumarsi. Sarri alza il tiro e la pressione, come in campo anche in società e spinge per quel suo grande amore che a Napoli lo consacrò. Viene accontentato con la complicità di un Milan spaesato e Gonzalo Higuain arriva a corte inglese.

Sarri, il comandante perdente che in silenzio scrive la storia da lontano

Ma anche con il Pipita non tutto arriva subito. Bisogna trovare un equilibrio. La partenza di Morata e delle idee di una squadra da rivedere e una manovra quasi da rifondare. Il terzo posto diventa quarto e anche quinto e la qualificazione in Champions non sembra essere così certa come all’inizio. Ma l’Inghilterra non è l’Italia. Il Chelsea non è il Napoli e l’allenatore dalla tuta e il cappellino a maggio può sorridere. Niente alberghi e niente ostracismi. Sarri risale e i blues finiscono per piazzarsi lì dove avrebbero dovuto.

Terzo posto, qualificazione in UCL guadagnata e Baku pure

Non è finita però. Il Chelsea di Conte lo scorso anno si era piazzato quinto e in Champions il Chelsea di Sarri è il grande escluso. Anche in Europa, però, Sarri non fa grandi proclami. Vola basso con l’umiltà che lo ha sempre caratterizzato e non si esprime mai più del dovuto. Lui che da Napoli ha imparato tanto lo sa bene: mai grandi proclami, mai dire gatto se non ce l’hai nel sacco. E allora ancora in silenzio, pian piano avanza anche in Europa. Passa i gironi e anche gli ottavi e i quarti. Arriva in semifinale dove da affrontare c’è l’Eintracht Francoforte, entusiasta per l’avventura e con in mente Baku.

I tedeschi complicano la vita al comandante di ferro e all’1-0 di Loftus-Cheek pareggiano con il solito Jovic e rimandando tutto ai rigori. Il Chelsea però questa volta non sbaglia, Hazard non sbaglia, Kepa non sbaglia. La squadra del tecnico italiano finisce in finale. Londra trema, se non altro per l’emozione. Brividi legittimati considerata l’impresa delle squadre inglesi e della Capitale.

Sarri, il comandante perdente che in silenzio scrive la storia da lontano

Dall’altro lato i Gunners che vincono contro il Valencia, all’andata ma anche al ritorno. La finale sarà tutta inglese. Inglese come l’altra di finale, quella un po’ più da grandi. La competizione alla quale Sarri vuole accedere per diritto. E perché no, oltre che per piazzamento, anche per merito.

E allora testa a Baku, lì dove potrebbe finalmente riprendersi una vincita ancor prima di una ri-vincita rispetto al suo recente passato. Bistrattato e cacciato, privato del suo primo e più grande amore che fu il Napoli. Proprio a Napoli Sarri è diventato un’istituzione, diventando tra l’altro uno dei più idolatrati d’Europa.

Il bel gioco che non appaga…in Italia

Il bel gioco di Sarri, dicevamo e dicevano. E di lui si parlava ovunque. Lui che lo scorso anno pagò l’errore di Firenze a caro prezzo, un prezzo non certo imposto da De Laurentiis con l’esonero ma quello di non esser riuscito a regalare il sogno al suo popolo di Napoli. Lì dove se fosse stato un po’ più poser sarebbe stato un esteta ad hoc. Ma lui, che Napoli lo aveva incarnato sotto tutti i punti di vista, di essere esteta gli importava solo esclusivamente sul campo. E così fu.

Foto: SSC Napoli

Uno scudetto che non ebbe mai il piacere di vincere, come nessun altra cosa lì a Napoli dove, mentre gli scudetti sfuggivano di mano, ebbe il merito di vincere la cosa più difficile da conquistare nel capoluogo campano. Cosa? L’amore. Il rispetto e certamente l’onore di passare alla storia come l’allenatore padre e figlio insieme di Napoli e del Napoli. Nu pezz e ‘cor chell perdut. E accussì è. La sua assenza è passata quasi in sordina per l’alterigia che il nome di Carletto possiede. Chissà come sarebbe stato se De Laurentiis avesse dovuto aspettare prima di annunciare Ancelotti e se a Sarri avesse dato il ben servito prima che Ancelotti avesse ufficialmente detto di sì. Probabilmente all’ombra del Vesuvio si sarebbe verificata la più grande delle rivoluzioni.

Il suo Napoli incantava e se fosse andata diversamente anche solo una partita, magari oggi racconteremmo una storia diversa. Lì dove ad esser davvero differente sarebbe stato solo l’epilogo. Se in quel famoso albergo, magari, le cose fossero andate in maniera controversa oggi Napoli avrebbe il suo nuovo dio. Non paragonabile al primo, ma certamente con un murales in più. Alla filosofia sarriana, passata alle cronache – alla linguistica – come Sarrismo, è mancato solo l’atto finale per completare il cerchio di un pathos che già così è indicibile.

Sarri, il comandante perdente che in silenzio scrive la storia da lontano
Chelsea, Sarri
Egle Patanè