“Marotta? Un professionista che forse non è mai stato juventino”: così ha apostrofato Pavel Nedved l’ex AD Giuseppe Marotta, a pochissimi giorni dalla sua ufficializzazione in nerazzurro, sponda Milano.

(Photo by Maurizio Lagana/Getty Images)

 

E io sono qui a chiedermi:

Ma era proprio necessario?

Non sono le parole in sè a provocarmi perplessità. Intendiamoci: nemmeno Roberto Baggio è stato juventino, ne sono sempre stata perfettamente cosapevole e la cosa non mi provoca turbamento. Lui come tantissimi altri.

Non credo sia neccessario chiedere ai dipendenti della Juventus un attestato di tifo.

E’ la modalità, che trovo quanto mai inopportuna. Questo approfittare delle telecamere, dei media, della visibilità per stoccare frecciate assolutamente inutili e fuori luogo nel contesto in cui vengono esposte.

Non era stata forse una separazione pacifica, quella tra la Vecchia Signora e il dirigente?

Allora, che ci si adoperi perchè resti tale: ognuno per la sua strada, e amici come prima. Che bisogno c’è di tirare in ballo chi non è più al nostro fianco? Marotta – intelligentemente, secondo me – non ha risposto al Vicepresidente della Juve.

Una caduta di stile assolutamente evitabile da parte del ceco, che del resto non è nuovo a questi incidenti. Ricordiamo tutti le sue parole dirette a Paulo Dybala lo scorso inverno – anche lì, ‘cadendo’ in modo alquanto ingenuo nella trappola della stampa – a proposito della vita d’atleta che il giovane non sembrava condurre abbastanza. Episodio alquanto sorprendente se si pensa che in casa bianconera i panni sporchi sono sempre stati lavati in famiglia e mai, in nessuna occasione, si è  fatto pubblicamente allusione alle magagne – vere o presunte – di un proprio tesserato.

E attenzione, perché Pavel Nedved non è il solo. Proprio il presidente della Juventus, Andrea Agnelli  (lui che porta il cognome più pesante) non si era fatto problemi a tirare in ballo Leonardo Bonucci in occasione ufficiale, ironizzando – ancora una volta senza alcuna necessità – sul fatto che il buon Leo fosse andato a ‘spostare gli equilibri’ altrove. Frase, questa, dello stesso ‘Bonnie’, che poi è stato tranquillamente riaccolto insieme ai suoi personali equilibri (spostati o no).

Questione di pedanteria la mia? Forse. Ma soprattutto, risponderei, questione di stile. Sì, quello Stile Juventus con il quale sono cresciuta, quello che era un dogma ancor più della celeberrima frase “Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta”.

Italian businessman Gianni Agnelli, the Chairman of Fiat Motors Co., 1970s. (Photo by Authenticated News/Getty Images)

Quello fatto di superiore eleganza e intelligente ironia, quello dell’Avvocato che, ai giornalisti che gli chiedevano dei favoritismi arbitrali, rispondeva con un sorriso accennato:

“Ma sa? Io sono venuto allo stadio per godermi la partita…”

Glissando con stile. Lo Stile Juve, appunto.

Tipico di chi si mette un gradino più su, senza  avvertire il bisogno di trattare di certe questioni, di accettare certe provocazioni.

Ma forse è ora di rassegnarci. In questo calcio attuale, fatto di voci grosse e di guerre mediatiche – con tanto di botta e risposta sui social – non c’è più posto per lo Stile, quello con la ‘s’ maiuscola. E questa dirigenza giovane e arrembante di quarantenni volenterosi e intraprendenti ci può offrire tanto, tantissimo: ma non quello che non possiede.

Bisognerà che me ne faccia una ragione.

 

Daniela Russo