Raffiche di mitra sempre più intense, sempre più vicine e un bimbo di 4 anni nascosto sotto al letto, come mamma e papà raccomandano di fare  ogni volta che si sentono gli spari di quelle assurde rappresaglie tra le vie dei villaggi colombiani, feudi del narcotraffico.

Sono gli inizi degli anni ’90 e il piccolo Juan Guillermo Cuadrado – futuro campione di calcio –  uscirà da quel rifugio di fortuna per scoprire che il papà, di professione camionista, è morto durante quell’ennesima sparatoria di chi non guarda in faccia nessuno, né i colpevoli né tanto meno gli innocenti.

Sarà la mamma a prendere in mano le redini della famiglia, iniziando a lavorare nelle piantagioni di banane per sbarcare il lunario mentre il piccolo Juan affidato alla nonna o impegnato ad aiutare la mamma ad attaccare sulle banane di esportazione gli adesivi identificativi.

Un’infanzia difficile quella di Cuadrado, tra povertà, violenza e narcotraffico: forse un destino segnato che ha come punto di opposizione i piedi nudi, i suoi, lanciati in un campetto di terra battuta a rincorrere un pallone; sarà proprio la passione fortissima per il calcio ad evitargli pericolose distrazioni.

Il pallone come fedele compagno delle sue giornate prima nelle giovanili dell’ Atletico Uraba, in seguito nel Deportivo Independiente Medellin, quando a tredici anni un talent scout lo presenta a Nelson Gallego, il mister del club, il primo a credere nel potenziale di Cuadrado nonostante lo scetticismo generale di quanti non vedevano in quel ragazzino troppo piccolo, magro e sottopeso la stoffa per sfondare.

Ma di stoffa il piccolo ragazzino dalle treccine fatte a mano dalla mamma ne ha, eccome: dopo l’arrivo in Italia prima nell’Udinese e poi nel Lecce, sarà soprattutto nella Fiorentina e nella Juventus che le sue doti si evidenzieranno maggiormente: tecnica, velocità e capacità nei dribbling (tanto da essersi più volte distinto come il giocatore di Serie A con il maggiore numero di dribbling riusciti nell’arco di una stagione) le sue caratteristiche migliori.

Cuadrado da alcuni anni ha fondato a Medellin, in Colombia, la Fundacion Juan Cuadrado, fondazione a sostegno dell’istruzione dei bambini meno fortunati e con l’obiettivo di aiutare i giovani colombiani (ancora oggi vittime dell’esclusione sociale e della povertà) anche attraverso lo sport e la cultura.

La sua fondazione ha attivato una scuola di calcio, una di teatro e una di musica.

E  questo ragazzo solare, umile e sempre gioviale con i suoi compagni è l’esempio di come il talento – dono di Dio, ci tiene a sottolinerare Juan – è la salvezza da un destino che avrebbe potuto significare persino la morte.

 

Silvia Sanmory
Foto: Getty Images