Ci sono veramente molti motivi, oggi, per innamorarsi di Dusan Vlahovic.

 

Primo tra tutti la straordinaria crescita che lo ha caratterizzato nel 2021, che lo ha portato a quota 33 reti in un anno solare, numero impressionante per un giocatore classe 2000.

In circa due anni, il serbo sembra quasi aver “bruciato”  tutte le tappe che normalmente un giocatore attraversa in un arco di tempo sicuramente maggiore.

Vlahovic, come un pendolo, ha oscillato tra inesperienza e colpi di genio, fino a diventare l’attaccante gioiello che ammiriamo oggi.

Lo ha fatto con la tempestività di chi ha una fame quasi bulimica, di quelle che non sazi perché non vengono dallo stomaco, ma dallo spirito. Lo spirito di chi, probabilmente, sente già dentro di sé si essere un predestinato, con quel fisico così imponente e statuario, tipico di un “nove”, ma con la testa e la tecnica, oserei dire con la dovuta prudenza, di un “dieci”.

In questa crescita così galoppante ha cominciato a segnare a una media pazzesca, realizzando  in tutti i modi:  reti sia belle sia “brutte, ma utili. Ha dimostrato di farsi valere anche sui calci piazzati.

Un secondo motivo potrebbe essere il suo splendido mancino, pericoloso nei tiri da fuori, potente, spesso capace di infliggere alla palla delle traiettorie stranissime e imprendibili. O anche la potenza con cui progredisce in campo, sfruttando le sue doti naturali.

Potrei persino dire che una ragione per amarlo è tutto quel potenziale  inespresso che, malgrado i progressi rapidi ottenuti lo scorso anno, lo rende straordinariamente attraente.

Il margine di miglioramento – ampio – del gioco spalle alla porta, della capacità di proteggere il pallone. La possibilità che in lui emerga una sorta di raffinatezza nel tiro e nelle movenze che ancora resta nascosta e che ancora non è del tutto convinto di possedere.

Personalmente io ho trovato, invece,  altri motivi per innamorarmi di questo giovane giocatore.

 

La sua adorabile sfacciataggine mostrata già a 19 anni: forse perchè a quell’età ha già circa 50 presenze tra i professionisti. Dusan, quindicenne, ha già in tasca il suo primo contratto da professionista, con il Partizan Belgrado.

Il più giovane nella storia del club.

Il modo in cui i suoi occhi brillano di gratitudine quando parla di Cesare Prandelli, l’uomo che a suo dire lo ha tirato fuori dall’inerzia in cui era finito e ha fatto per lui cose che forse nemmeno suo padre avrebbe fatto.

La struttura imponente del suo fisico e quell’espressione sempre un po’ accigliata che nascondono la sua vera e giovanissima età, come se si preoccupasse, sempre, di celare il fatto che è ancora un ragazzo.

Quel ragazzo che lui ama proteggere con le sue stesse, larghissime spalle e che viene fuori solo quando esulta saltando come un grillo, quando sorride o quando corre incontro a un bambino.

E immediatamente, malgrado il suo metro e novanta centimetri di altezza, ci mostra ancora il piccolo Dusan:

 

La compostezza avuta quando è stato insultato dal pubblico di Bergamo che gli si è rivolto appellandolo come “zingaro”. Una compostezza mantenuta anche quando è arrivato ai microfoni e il coro si è intensificato.

La bravura con cui ha saputo ricucire il rapporto con la piazza viola dopo che il presidente Commisso lo ha fornito in pasto alla stessa senza farsi tanti scrupoli. Pochi gesti semplici, nessuna dichiarazione. Come quello di scusarsi per un rigore sbagliato, anche se dopo ripara all’errore con un gol fantastico.

Dusan Vlahovic ha preferito continuare a impegnarsi, lavorando duramente e segnando come e più di prima, anche se il rinnovo non è arrivato.

Anche se è in atto tutt’oggi una guerra fredda per la sua cessione.

Maturo e intelligente, ha capito che il rispetto e la buona volontà sono le chiavi principali per far crescere, assieme al calciatore che sarà, anche l’uomo. E questo ha ancora più importanza perché, là dove un giorno il giocatore verrà meno, l’uomo resterà.

L’uomo che il ragazzo Dusan porta con sé è un piccolo tesoro per qualsiasi squadra nella quale  il calciatore approderà. Perché, se Vlahovic saprà conservarsi come è oggi, mostrerà ovunque non solo le sue abilità calcistiche, ma anche il suo patrimonio umano.

Del quale, proprio come il suo bagaglio tecnico, c’è ancora tanto, a mio avviso, da scoprire.

Potete cimentarvi, se volete, a trovare altri motivi per cui sognare l’attaccante serbo con la maglia numero 9 della vostra squadra del cuore.

Io oggi vi confesso, parafrasando una celebre Isabella del grande schermo, che sono totalmente, incondizionatamente innamorata di lui.

 

Daniela Russo