Andrea Ranocchia dice addio al calcio, dopo un’intera carriera trascorsa da leader nel lavoro e nel silenzio, in momenti che resteranno indelebili.

Andrea Ranocchia, all’età di 34 anni e a seguito di un brutto infortunio rimediato ad inizio stagione, capisce che è il momento di calare il sipario sulla propria carriera. Un percorso iniziato nelle giovanili del Perugia, passato per Genoa e Sampdoria fino ad essere coronato all’Inter. Dove ha vinto uno Scudetto, una Supercoppa italiana e due Coppa Italia.

All’Inter, il difensore nato ad Assisi, è arrivato la prima volta il primo gennaio del 2011. In quel club che aveva fatto sognare tutti dopo la vittoria del Triplete e che se si presentava ai suoi occhi come un sogno che stava diventando realtà.

Ma proprio in nerazzurro (complice il difficile momento societario di quegli anni), Ranocchia ha vissuto tra alti e bassi, indossando la fascia da Capitano e non abbandonando mai la nave, neanche nei momenti più difficili, come forse chiunque altro avrebbe deciso di fare.

Andrea Ranocchia è rimasto e ha lottato, stando in campo in partite importanti. Segnando gol decisivi (come la prodezza mostrata in Coppa Italia lo scorso anno contro l’Empoli, in rovesciata, degna di un album di figurine). Affrontando i momenti di crisi e arrivando a vincere uno Scudetto dai mille significati.

Ero molto giù, un’esperienza di cui avrei fatto a meno, ma formativa. Nel calcio, quando le cose non girano ne prendono di mira due o tre… Arrivato subito dopo il Triplete, ho vissuto stagioni difficili per il club. Ma mi sono anche goduto la risalita grazie a Suning e allo stesso Spalletti, fino alle vittorie con Conte e Inzaghi“, ha rivelato a La Gazzetta dello Sport proprio in merito a quanto vissuto negli anni di carriera più difficili.

L’addio di Ranocchia al calcio e il suo racconto degli ultimi tempi: un leader silenzioso che ha preso una decisione non semplice

Poi, però, come lui stesso ha dichiarato, è andato man mano scemando un entusiasmo che fino a qualche mese fa è stato per lui vita. “Come sto? Diciamo benino, sono un po’ frastornato. Devo rimettere insieme i pezzi. Il momento più brutto è stato in estate, quando ho capito che la luce non si riaccendeva più. Il più bello, lo scudetto. L’ho inseguito a lungo, ne ho viste e vissute di tutti i colori. Trionfare così è il massimo“.

“Non c’è stato un singolo episodio scatenante. Da aprile, complici anche una serie di questioni private, ho iniziato a sentire meno entusiasmo per il calcio. Ho sperato fosse solo un momento”.

Per l’addio all’Inter e per il successivo approdo al Monza, Ranocchia racconta com’è andata così: “All’Inter stavo bene con tutti. Il mio contratto scadeva a giugno, Piero (Ausilio) mi ha spiegato che dovevano fare tutta una serie di valutazioni. Io volevo giocare di più, ed è arrivato il Monza“.

Progetto serio – ha continuato – portato avanti da dirigenti che hanno già vinto. La possibilità di non cambiare casa anche ai figli (Lorenzo, 4 anni, e Adele Luna, 2) e di far crescere i giovani. Ho accettato. Ma durante il ritiro ho faticato molto. Scoprire che quel fuoco per il calcio che mi ha acceso per 30 anni non tornava è stato tremendo“.

Ma poi è arrivato l’infortunio, al perone, che l’ha costretto a fermarsi e che avrebbe significato lavorare con una scintilla in più per rimettersi in carreggiata. “Ha accelerato un processo già in atto. Tanto che non escludo che un crack così serio fosse collegato al fatto che la testa non girava più nel modo giusto“.

Non sono triste, altrimenti sarei andato avanti. In questi mesi ho pensato tanto, anche troppo. E la certezza è che sono orgoglioso soddisfatto della mia carriera. Delle vittorie e di come ho superato i problemi. Ma senza entusiasmo non si va avanti. Ora stacco per un po’, poi mi piacerebbe aprire una scuola calcio“, ha concluso lasciando uno sport in punta di piedi e con un’umiltà che raramente si riscontra nel mondo del calcio al giorno d’oggi.

Alessia Gentile