25 novembre, Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Non soltanto oggi, ma sempre. Un grido che non sia più di dolore, ma di forza e di coraggio dovrebbe levarsi in tutto il mondo.

E’ un’epoca tetra quella degli ultimi anni, un’epoca in cui il buio lo portiamo dentro e facciamo difficoltà a trovare l’interruttore della luce. Possiamo trovarlo ma spesso sembra più semplice rimanere nell’ombra e nel silenzio, piuttosto che illuminare la realtà davanti a noi e prenderne coscienza. Una coscienza sveglia fa paura. Ma per “svegliarci” non occorre guardare subito fuori di noi, bensì dentro. E’ da lì che si parte, è illuminando noi stessi che possiamo fare luce su ciò che ci accade attorno.

Queste giornate e non solo, dovrebbero servire a farci ritrovare quell’interruttore per far si che non venga mai più spento.

Il mondiale in Qatar che ormai ha preso il via da quasi una settimana può, anzi, deve essere l’input per riaccendere quella luce ed anche la coscienza collettiva del mondo. Un mondiale che sin dalla designazione del Paese ospitante nel 2010 ha suscitato non poche polemiche.

Lo sfruttamento dei lavoratori è uno dei grandi temi di questa competizione. Le meravigliose cattedrali in cui oggi si disputano le partite, sono state edificate sul sangue di più di 6.500 operai costretti a lavorare in condizioni inumane e sotto temperature che hanno superato i 40 gradi. Tutto questo è stato denunciato da Amnesty International.

Non meno problematica è la condizione delle donne in Qatar. Lì il buio si trova alla sua massima potenza. Non esiste una specifica legge che limita i diritti delle donne, piuttosto è un modus operandi che le vede costrette a chiedere l’autorizzazione alla figura maschile sia essa padre, fratello o zio, per qualunque aspetto riguardante la propria vita.

Una donna invisibile che dietro la scusa della “tutela maschile” non è libera di essere. La violenza, oltre quella carnale, è anche questa, apparentemente più silenziosa ma fortemente tragica e inumana.

Altro tema molto caldo sono i diritti umani e la parità di genere, motivo per cui la cantante Dua Lipa ha deciso di non partecipare come ospite alla cerimonia di apertura dei Mondiali. “Non vedrò l’ora di visitare il Qatar quando il Paese avrà adempiuto a tutti gli impegni presi in materia di diritti umani”. Così la popstar ha dichiarato in una storia di instagram.

La fascia arcobaleno, “One love” segno di solidarietà nei confronti della comunità Lgbt è stata vietata sia ai tifosi che agli stessi calciatori. La punizione? Un cartellino giallo, un’ammonizione. Tutto questo perché essere omosessuali in Qatar è considerato una malattia da dover estirpare alla radice.

Numerose le proteste di diverse nazionali tra cui la Germania che, prima della sfida contro il Giappone, ha posato nella la foto di gruppo con la mano davanti la bocca. Una sorta di bavaglio il cui messaggio arriva forte e chiaro. I calciatori dell’Iran invece, non hanno cantato il loro inno nazionale durante la sfida contro l’Inghilterra.

Anche questo un segno di protesta e di dissenso nei confronti del regime di Teheran e una rivendicazione per la morte della giovane Mahsa Amini deceduta nelle mani della polizia dopo esser stata arrestata per non aver indossato il copricapo.

“Woman, Life, Freedom” uno degli slogan più ricorrenti.

Ma è delle ultime ore una rivelazione dell’Indipendent in merito alla tanto discussa fascia arcobaleno. Sembrerebbe che la Fifa sia pronta a fare dietrofront evitando che chiunque indossi simboli o porti i clori arcobaleno, venga poi fermato dal personale di sicurezza degli stadi.

Questa rassicurazione è arrivata direttamente dal governo del Qatar. Ci sono ancora tanti troppi passi da fare per poter risolvere le innumerevoli vicende riguardanti i diritti umani; ma già questo sarebbe un grande passo per scacciar via le ombre.

I mondiali sono belli ed affascinanti perché persone da tutto il mondo vengono e portano le loro tradizioni, i loro costumi e la loro gioia.

I tifosi si mischiano e si siedono l’uno accanto all’altro perché tifare è la massima espressione di luce e non esistono barriere etniche. Ci si incontra in un luogo comune per godere insieme di ciò che ci rende uguali ma anche di ciò che ci rende unici ed irripetibili.

E allora nonostante le difficoltà credo che mai come adesso e per tutti i giorni a seguire il verso della canzone “Anthem” di Leonard Cohen debba essere un monito.

C’è una crepa in ogni cosa, ed è da lì che entra la luce”

Elisa Licciardi