La scomparsa del celebre artista nazional popolare ha commosso il mondo della musica che lo amava ma anche quello del calcio,
che lui amava da tifoso del Milan

Nella calura a tratti insopportabile di questo agosto, è giunta improvvisa e dolorosa la notizia della scomparsa di Toto Cutugno.

Forse uno dei simboli di quell’Italia canora e canterina che ha sempre mantenuto nel tempo quel tocco di romanticismo un po’ mieloso ma sempre di grande appeal.

Riservato e pacato, lo si ricorda nelle tante edizioni del Festival di Sanremo impeccabile nel suo smoking a cantare di mamme, figli, amori [quelli in cui soffri solamente tu… (Cit.)].

Una presenza la sua, negli anni passati, quasi rassicurante e di sicuro impatto per i cuori nobili italiani piazzati davanti alla TV, sera dopo sera. Anche quando ruppe gli schemi con “Voglio andare a vivere in campagna”, inno al ritorno alla semplicità e alla faticosa ma affascinante vita bucolica.

Ma il Toto Cutugno autore non può non essere menzionato.

Dalle canzoni composte per Adriano Celentano, Ornella Vanoni, Domenico Modugno e per tanti artisti stranieri, come è accaduto per la canzone – manifesto di una generazione “Noi, ragazzi di oggi”, cantata dall’allora quindicenne Luis Miguel, poi diventato icona musicale in patria e soprannominato “El Sol de México”.

Cutugno è nella storia della musica per essere l’autore e l’interprete de “L’italiano”, la ballata simil patriottica dei tempi moderni per eccellenza.

Composta quarant’anni fa e tradotta perfino in finlandese e in cinese, è una sorta di ufficioso inno nazionale nel mondo, una canzone che NON PUOI NON SAPERE e NON PUOI NON CANTARE, perché quella canzone, chi più chi meno, la conoscono davvero tutti.

Ci ha lasciati ad ottant’anni, conosciuto come cantautore anche oltre i confini del nostro Paese ma è stato, nella sua lunga vita, anche un grandissimo tifoso del Milan e proprio attraverso i canali social, il club rossonero gli ha dedicato un commosso messaggio di saluto.

Avrà gioito sicuramente negli anni dei grandi trionfi rossoneri in Italia e all’estero, marcando magari quell’orgoglio italiano nel mondo rappresentato dalla sua squadra del cuore.

Amava Pirlo, come da lui dichiarato, e si rammaricava che nelle squadre italiane ci fossero pochi italiani in campo.

Certo, la dura e spietata legge del mercato, del business e del conseguente prestigio del nostro calcio passa anche dall’internazionalizzazione delle rose delle nostre squadre, ma a pensarci bene, bisognerebbe davvero investire concretamente nel settore e magari riportare un po’ più di “italianità” sui nostri campi. I talenti ci sono, probabilmente sono nascosti e bisogna solo trovarli…

In fondo, “L’italiano” è un simbolo, un modo di essere, un modo di vivere, forse con qualche stereotipo ma comunque unico nel suo genere.

E possiamo dire che a modo suo, Cutugno ha voluto mettere un sigillo all’Italia e quel sigillo, almeno musicalmente parlando, è rimasto nel tempo, entrando nella nostra storia.

 

Simona Cannaò