Nei miei numerosi articoli su Paulo Dybala, ho sempre omesso quella che per me è una sensazione forte, legata a lui.

Per quanto Paulo abbia, indubbiamente, le stigmate della Dea Eupalla che lo ha benedetto con un bagaglio tecnico di indiscussa fattura, ho sempre avuto un sentore.

Come se Dybala avesse in fondo scelto di diventare il calciatore per mantenere una promessa; per non deludere mai, nemmeno per un instante, quella figura fondamentale nella vita di un uomo che a lui è stata strappata a soli 15 anni.

Suo padre Adolfo.

Come se Paulo, accettando di entrare nel mondo del calcio ( un mondo oggi così distante da lui come persona), avesse accettato di vivere la vita che il papà aveva scelto per lui.

Credo profondamente che la perdita prematura del genitore abbia segnato l’argentino in un modo così profondo, viscerale, che nemmeno lui stesso riesce a rendersene conto.

Una ferita che non si rimargina e che lo spinge, ancora oggi che è un uomo, a cercare quell’affetto  perso così presto in tutti gli uomini adulti che incontra sul suo cammino.

È accaduto con Zamparini, con Marotta, con lo stesso Andrea Agnelli.

E, inevitabilmente, anche con Massimiliano Allegri.

Potremmo dire che Dybala è una sorta di malato d’amore. Quello che più emerge, nella psicologia dell’ex bianconero, è la sua fame di fiducia e di affetto.

Lo fa in maniera quasi irresistibile, con quel suo aspetto da eterno ragazzino che ti fa venir voglia di proteggerlo. Ma lo fa anche in modo sconsiderato talvolta, avventato, fidandosi delle persone sbagliate o di chi comunque non può corrispondere quella fame. 

Lo abbiamo visto con i procuratori e lo abbiamo visto con Max.

Il rapporto tra Paulo e il mister livornese, per quanto privo di eventi eclatanti (come tra Sacchi e Baggio, per dare un’idea) è sempre stato controverso.

Troppa diversità, troppa poca “corrispondenza d’amorosi sensi” tra l’emotivo argentino e il compassato allenatore per poter ricostruire un rapporto padre-figlio. Troppe distanze da colmare.

In verità, l’ambiente sabaudo, notoriamente, non si confà a giocatori dall’essenza così delicata come Paulo Dybala. E, diciamolo pure, dalla psicologia complessa.

Perché il Diez di Laguna Larga è capace di scalare una montagna a mani nude quando si sente coccolato, così come di crollare dalla stessa montagna quando quella tenerezza viene meno.

E con questo non sto muovendo una condanna al carattere del giocatore.

Sto semplicemente dicendo che Paulo Dybala è così: una creatura splendida e fragile, di quella fragilità che lo rende squisitamente raffinato e talvolta quasi fuori posto in questo calcio moderno. Come se fosse venuto da un’epoca diversa.

Eppure, Dybala si rende unico in questa dimensione.

Oggi, dopo un addio devastante alla Juventus, dopo un inizio estate difficile (non voglio scendere nei particolari del  capitolo “procuratore”), l’attaccante si mette in gioco accettando una proposta che nessuno pensava potesse arrivare: quella della Roma.

Un progetto assolutamente intrigante in cui chi fa la parte determinante è José Mourinho.

Non devo certo fare io le presentazioni al mister portoghese, il cui carisma è indiscutibile.

Come indiscutibile è la sua capacità di entrare nella più completa empatia con certi suoi uomini spingendoli a fare per lui (e quindi per la squadra) praticamente qualsiasi cosa.

Sono dell’idea che tra Mourinho e Dybala possa nascere qualcosa di fantastico. Qualcosa di quanto più vicino a quel rapporto di amore e fiducia mai avuto o soltanto intravisto, che Paulo desidera disperatamente da quando era soltanto un adolescente.

Trovare finalmente quel padre così a lungo cercato.

Mourinho all’Inter è stato capace di conquistare cuori ben più coriacei di quello, ancora fanciullesco, del ragazzo di Laguna Larga.

Anche la “corte” di Totti (che così tanto riecheggia quella di Del Piero, vere e proprie figure di mentore per il giovane) ha sicuramente rappresentato un incentivo non da poco. Sono tutte figure che nel suo universo personale contano e sono quasi necessarie.

Dybala può trovare nella piazza giallorossa, assetata di campioni che sposino il suo affetto, cascate d’amore pronte a riempire il suo animo attualmente scottato e ferito dalle ultime vicende a Torino.

E le prime ore dopo l’annuncio ufficiale stanno rispondendo assolutamente alle aspettative. Roma è impazzita per l’attaccante. 

L’ entusiasmo,  la voglia di rivalsa dei figli della Lupa possono rappresentare il suo miglior balsamo.

Paulo Dybala è un malato d’ amore. Un uomo che è pronto a mettere, per esso,  da parte anche la gloria, se necessario.

Come ha scritto un collega di Spazio Napoli in suo interessante scritto sull’argentino:

Un calciatore che sceglie il progetto e non pensa all’aspetto economico è uno dei segnali più forti in assoluto nel calcio moderno.

Perché in fondo Dybala ha sempre mostrato una dose di coraggio nella sua carriera. Lo ha fatto quando si è letteralmente catapultato da una dimensione piccola come quella di Palermo a una “tosta”,  come quella bianconera.

Lo ha fatto accettando una maglia che sapeva lo avrebbe fatto camminare sui carboni ardenti. 

Lo ha fatto mettendosi contro tutta la dirigenza, rifiutando il trasferimento in Inghilterra nel 2019.

E poi ancora accettando una fascia da Capitano che lo obbligava a una leadership che in verità non aveva mai desiderato.

La sua fame d’amore lo rende vulnerabile, ma altresì coraggioso.

E Roma in questo momento ha bisogno di uomini d’ardimento.

Non è un caso, forse, che Roma sia la patria dei Gladiatori. Che Dybala ami così tanto il film di Ridley Scott ( tanto da averci tirato fuori il suo marchio, la DybalaMask).

Non è un caso nemmeno una citazione dal celeberrimo film, che così tanto bene si adatta a Paulo:

Io ero il migliore perché la folla mi amava. Conquista la folla e conquisterai la libertà.

C’è forse una folla  più bella da conquistare di  quella della Città Eterna?

 

Daniela Russo