La scorsa estate Nicolò Fagioli ha fatto parlare di sé a lungo, generando non poche polemiche, quando – con molta sincerità, con una sicurezza inconsueta per un ragazzo di ventun anni – invitava la Juventus a decidere in fretta sul suo futuro.

Tifo Juve da bambino e per me sarebbe un sogno vestire quella maglia, ma devo capire bene che intenzioni hanno con me. Ripeto: se sono forti, i giovani devono giocare. E, sì, io mi sento pronto per la Serie A.

Ricordo di aver sorriso – amaramente – alla reazione della piazza bianconera davanti a queste dichiarazioni.

Reazione alquanto scandalizzata, come al solito, perché “come si permettono questi ragazzini che non conoscono il peso della maglia bianconera?” è una frase che oramai costituisce un mantra.

Fagioli è nato esattamente lo stesso giorno, mese, anno di Khvicha Kvaratskhelia, l’attaccante georgiano oramai tra i più acclamati e inamovibili del nostro campionato. Non credo onestamente che i tifosi napoletani gli chiedano la carta d’identità, soprattutto con i numeri che sta collezionando.

Ventidue anni non sono certo pochi per conquistare un posto da titolare all’interno della propria squadra.

Eppure quando viene schierato per la prima volta quest’anno, Fagioli gioca solo perché il centrocampo della Juventus è falcidiato dagli infortuni. Insomma, sembrerebbe casuale il suo impiego, malgrado Allegri sia stato tra i primi a tesserne le lodi, cinque anni or sono.

Il suo primo gol – a Via Del Mare – risveglia immediatamente paragoni scomodi e evoca figure del passato davanti alle quali è impossibile rimanere indifferenti.

Io stessa sono rimasta incantata davanti a quella postura che tanto, troppo ha ricordato quella di un 10 iconico in casa Juventus.

Ma al di là delle marcature (in fase realizzativa credo possa decisamente migliorare), quello che ha attirato la mia attenzione in questo capitolo di Nicolò Fagioli alla Juventus è altro.

Ne ricordavo già la raffinata eleganza dei movimenti (ed è sempre un piacere per me che apprezzo particolarmente questo aspetto) e quel suo giocare sempre a testa alta, senza timori di sorta, che mi ha colpito sin dalla prima volta.

Oggi vedo un giocatore cresciuto, maturo, che soprattutto migliora costantemente e velocemente, sinonimo di grande intelligenza e – come ha detto anche Allegri – di quell’astuzia tipica di chi ruba i segreti del mestiere partita dopo partita.

Un giocatore che colpisce non per il colpo geniale (in copertina il suo colpo di tacco, ma è un vezzo), ma per la genialità con cui sembra scendere in campo con il rettangolo di gioco disegnato nella testa.

Senza sforzo alcuno esce dalle situazioni difficili sapendo già come accompagnare e posizionarsi in relazione al compagno, quasi come la sua vista mappasse tutte le zone di gioco. E più scorre il tempo in campo, migliore sembra la sua attitudine. 

Onestamente, e forse egoisticamente, penso ancora di vederlo completare la sua evoluzione verso un numero 10 (in sentore di bandiera, magari?) che tanto sta mancando. Non voglio cedere a facili lusinghe. 

Certo la tecnica non gli manca e nemmeno la stoffa per realizzare certi colpi ( lo abbiamo già citato per la rete siglata a Lecce). Ma è come se in questo momento – soprattutto in questo momento storico della Juventus – le sue altre caratteristiche fossero più basilari.

Più importanti.

La Juventus non ha tanto bisogno, oggi, della stella solitaria. Del colpo assoluto, di quell’uomo cestista – di cui parlava Mex tempo addietro riferendosi al basket – che fa canestro agli ultimi secondi.

La Juve di oggi ha necessità di riorganizzarsi. E in questa necessità uno come Nicolò, con la sua pulizia, la sua efficacia (anche senza correre perché, Cruijff docet), con quel suo fare bene le cose semplici ( cosa estremamente difficile!!), serve come il pane.

E che ce lo lasci anche per il futuro, la nuova dirigenza.

Ne abbiamo maledettamente bisogno.

 

Daniela Russo