Mi sembra passato un secolo da quando Wojciech Szczesny, chiamato a sostituire Buffon per circa un mese,  riusciva a abbattere le mie perplessità su di lui.

Il portiere polacco, proveniente dalla Roma, nelle occasioni per mettersi in mostra si era dimostrato quanto meno affidabile pur trovandosi davanti un monumento con il quale non era certo facile paragonarsi.

L’ ho studiato e accompagnato nel suo cammino alla Juventus da titolare e posso dire, senza voler omettere né pregi né difetti, che Tek mi è quanto meno sembrato all’altezza di una squadra come la Juventus.

Sicuro tra i pali, più avventato e carambolico nelle uscite, quello che mi ha colpito di lui è stata comunque la sua capacità di tenere unita la difesa, senza perdere la testa nei momenti più stressanti. 

Oggi guardo Szczesny e mi accorgo che tutto quello che ho pensato di lui in questi anni sembra essere svanito.

In un momento cruciale della scorsa stagione,  il numero uno bianconero è entrato in una parabola discendente che non sembra avere fine.

Come se lui fosse l’espressione più tangibile della macerie lasciate dal campionato passato.

La cosa che veramente mi disarma è che questa crisi non mi sembra un discorso atletico  (o comunque, non soltanto).

La cosa che mi allarma è che sento odore di crisi mentale. 

Mi sembra di vedere un portiere che ha perso non soltanto fiducia nei propri mezzi, ma ha perso anche la fiducia del reparto che in passato ha guidato e anche con discrete capacità.

Il momento no di Szczesny va sicuramente inserito in un contesto di crisi generale della Juventus tutta. Una squadra che dopo tre partite si ritrova con un solo punto in classifica alla vigilia di un filetto di partite discretamente importanti.

E siamo solo agli inizi.

Sicuramente restare schiacciati per tutto il secondo tempo contro il Napoli non ha aiutato la retroguardia e a maggior ragione non ha aiutato Szczesny. Di qui poi la sconfitta. Ma questo è un altro discorso.

La nuda verità è che Szczesny risulta  ancora una volta tra i responsabili.

Il punto cruciale, oggi, è: come lavora un gruppo che sente di non potersi fidare del suo difensore più importante?

Come e in quali tempi si può recuperare un portiere all’interno di una stagione che non dà margini di possibilità per “leccarsi le ferite”?

Uno degli interrogativi principali in casa Juventus, dopo la sconfitta – meritata – con il Napoli è proprio questo.

Come salvare il soldato Szcesny?