Julio Cesar sabato sera giocherà la sua ultima partita di calcio

 

Sabato sera a Rio, al Maracanà si terrà Flamengo-America Mineiro e Julio Cesar, ex leggenda nerazzurra eroe del Triplete, regnerà tra i pali per l’ultima volta. L’ex portiere nerazzurro aveva rescisso il contratto che lo legava al Benfica per trasferirsi al Flamengo prima di concludere la carriera; la decisione di appendere ufficialmente i guantoni al chiodo era già una decisione nota alla cronaca e l’addio al calcio giocato dell’Acchiappasogni è imminente. La Gazzetta dello Sport lo ha intervistato per l’occasione.

Ha già deciso cosa farà dopo aver smesso?
“È possibile che rimanga nel calcio, ma non so “come”: è presto per parlare di futuro”.

Riesce a dire qual è stata la parata più bella della sua carriera?
“Dite tutti quella su Messi nella semifinale di Champions a Barcellona e forse avete ragione voi. In quella partita, in quel momento, contro quell’avversario: una delle prime cose che insegnano a noi portieri è che una parata è bella solo se è importante. Quella fu importantissima”.

L’emozione più grande?
“Posso dirne tre? La prima, Campeonato Carioca 2001, Flamengo-Vasco: dovevamo vincere con due gol di scarto, Dejan Petkovic segnò il 3-1 su punizione a due minuti dalla fine. La seconda è ovviamente Madrid, la Champions: di sicuro il punto più alto della mia carriera. La terza, Mondiale 2014: i due rigori parati contro il Cile negli ottavi di finale”.

Sulle polemiche di Buffon post Real-Juve.
“Quel rigore lo puoi dare o non dare, ma se sei l’arbitro ad un certo punto puoi anche girarti dall’altra parte e non espellere Buffon. Detto questo: è stato Gigi a riconoscere che poteva esprimere gli stessi concetti in un altro modo. Ma quando hai tanta adrenalina in circolo, dici cose di cui poi ti puoi pentire”.

Le è mai successo di arrabbiarsi così?
“Non in momenti così importanti. Dissi di tutto a Rocchi (Inter-Napoli 0-3, ottobre 2011) quando parai un rigore di Hamsik e lui non si accorse che Campagnaro entrò in area in netto anticipo per segnare sulla respinta. E me la presi molto con Rizzoli (Inter-Milan 4-2, maggio 2012) che mi fischiò un fallo da rigore su Boateng che non c’era. Infatti poi disse pubblicamente di aver sbagliato”.

Ha detto: con Handanovic ho lasciato l’Inter in ottime mani.
“Io non mi sono mai sentito l’erede di Toldo, con cui ho avuto un rapporto bellissimo, e Handanovic non è stato il mio erede: lui è un grande portiere, ma l’Inter sarà sempre più importante di qualunque suo giocatore”.

Quanto tornerà a Milano, per vederla a San Siro?
“Spero di tornare per una partita di Champions League. Dunque presto, spero”.

Ce lo racconta un segreto di questi vent’anni?
“Ero arrivato all’Inter da poco: seconda di campionato, Palermo-Inter. Mancini in settimana mi fa: “Corini lo conosco bene, se sulle punizioni gli sistemi la barriera al contrario lo mettiamo in difficoltà”. Ero perplesso, ma gli dico: “Tu sei il boss, faccio come mi dici”. Il sabato, punizione di Corini e palla all’incrocio. Tre settimane dopo andiamo a Torino a giocare con la Juve. Mancini: “Con Nedved ho giocato, occhio che le punizioni le tira basse sul tuo palo”. Punizione di Nedved: sopra la barriera e 2-0. I giornalisti iniziano a martellare: che scarso Julio Cesar sulle punizioni. Alla ripresa prendo il Mancio da una parte: “Boss, facciamo così: se sbaglio, sbaglio io, ma d’ora in poi scelgo io. Ok?””

 

Egle Patané
Fonte: FcInternews