Aldair Nascimento do Santos, classico nome brasiliano, proviene da una famiglia di quindici fratelli e un padre spesso lontano da casa che non gli hanno mai permesso di pensare al suo ipotetico destino.

Cresciuto con l’idea di dover cercare di sfamare la famiglia vendendo noci di cocco e piccoli oggetti artigianali nel suo piccolo paese, trovò nel calcio il desiderio di diventare come il suo più grande idolo (divenuto poi leggenda) Roberto Dinamite, bomber indiscusso del Vasco da Gama.
Con il sangue brasiliano e quella passione sfrenata per i vari Zico e Pelè cercò di entrare nel Vasco da Gama ma fu scartato durante il provino.

Aldair, ormai rassegnato all’idea che forse non sarebbe stato il suo momento, decise di cambiare ruolo facendosi notare da un ex giocatore del Flamengo che vide in lui grandi doti durante una partitella tra amici.

Lo trascinò nelle giovanili del Flamengo dove poi venne facilmente promosso in prima squadra vincendo il campionato Carioca prima di trasferirsi in Europa al Benfica.

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È in Europa – o meglio in Italia alla Roma – che esprime tutto il suo potenziale.

Il tempismo impeccabile fece di lui un muro invalicabile per gli attaccanti avversari. Talmente riservato e composto da sembrare quasi invisibile in campo.

Una sicurezza innata che gli permetteva di trovarsi puntualmente sul filo del rasoio che divideva il fuori tempo dall’anticipo perfetto.

Aldair era in grado di impostare il gioco a suo piacimento per la capacità di saper usare entrambi in piedi e innescare con lanci lunghi il gioco offensivo della sua squadra.
Senza dimenticare la sua abilità nel gioco aereo sia nell’impedire che gli avversari potessero segnare sia per diventare marcatore di giornata.

Entrare nelle grazie della Seleção Brasiliana era difficile ma non impossibile. Partì riserva fino a diventare titolare durante la Coppa America del 1989 e che portò il Brasile a vincere il trofeo per la prima volta.

Nel 1994 si laureò Campione del Mondo per la prima volta scontrandosi in finale proprio contro l’Italia. Inizialmente era considerato una rincalzo ma per gli infortuni dei difensori titolari, divenne a sorpresa il titolare affiancato da Márcio Santos. Con cui si instaurò una sinergia talmente perfetta da renderli la coppia difensiva più forte al mondo.

Con la sua Nazionale riuscì a vincere una medaglia di Bronzo ai giochi Olimpici di Atlanta nel 1996 e una medaglia di Argento e poi nuovamente oro nelle Coppe America del 1995 e 1997.

Senza dimenticare la sua innata propensione brasiliana di spingersi in attacco a testa alta e senza nessuna paura di poter perdere palla. In Brasile non hanno dimenticato la sua cavalcata palla al piede da centrocampo fino alla perfetta conclusione che si insaccò in rete.

A volte però la tua miglior dote può anche inspiegabilmente diventare il tuo peggior nemico.
Nella partita tra Roma e Slavia Praga, tristemente impressa nei ricordi dei tifosi romanisti, Aldair sbagliò clamorosamente il tempo cadendo goffamente e dando così la possibilità a Vavra di scagliare il tiro che portò alla vittoria.

Aldair a Roma infatti veniva soprannominato Pluto proprio per il suo modo di fare goffo come il celebre personaggio Disney. Atteggiamento che nel suo caso si rivelò però quasi sempre efficace.

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Quando sei nel momento cruciale della tua carriera ad un passo dal vincere il tuo primo scudetto con la Roma, non ti immagineresti mai di esser tradito dal tuo fisico. Il ginocchio che fa crack e l’impotenza di non poter terminare la stagione da protagonista insieme ai tuoi compagni.

Nella festa scudetto, un mese dopo il suo infortunio, andò velocemente a chiudersi nello spogliatoio quasi a vergognarsi con quella sua espressione costantemente timida e imbarazzata.
Si sentiva inadeguato nelle vesti di trionfatore e lo si è percepito alla stessa maniera anche il 2 giugno del 2003 nella sua partita di addio alla Roma.

Osannato da tutti i tifosi e compagni, tenuto in alto sulle spalle come un trofeo a far il giro dello stadio, lo stesso stadio che lo ha coccolato e accolto per 13 stagioni come un vero figlio di Roma.

Da quel giorno, la sua maglia numero 6 venne ritirata dalla Roma per dieci anni. Nella stagione 2003-04, su spinta anche dello stesso Aldair, fu data invece a Kevin Strootman accogliendo questa sorta di eredità con grande rispetto e umiltà.

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Raffaella De Macina
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