Bonucci non ne ha mai fatto un segreto, anzi, il suo successo è anche merito del mental coach Alberto Ferrarini. Una storia lunga 7 anni: i due si erano conosciuti a Treviso e, insieme, hanno fatto un bel cammino raggiungendo tante soddisfazioni. Dietro ai successi di Bonucci, come ha spesso confermato lo stesso difensore, c’è il lavoro del 44enne trevigiano, ma la collaborazione tra i due  ormai giunta al capolinea. E’ stato lo stesso motivatore a darne l’ufficialità: “Dopo 7 anni di lavoro e successi ho deciso di terminare il mio lavoro con Leonardo Bonucci – ha scritto Ferrarini sulla sua pagina Facebook La nostra avventura è iniziata a Treviso, quando fra l’altro stava vivendo un momento di forte crisi e finisce oggi da Top Player e vincente quale lui è. Ringrazio lui per aver creduto in me e nel mio lavoro. Trovo che questo sia stato il segreto del nostro successo, il suo soprattutto“. Il difensore conobbe questo motivatore ai tempi della sua permanenza in Veneto. In poche sedute, Ferrarini riuscì ad entrare nella sua testa e a stimolarlo. Incontri di ore ed ore dove Bonucci ascoltava e Ferrarini parlare di numerologia, pensiero positivo, tradizioni indiane e molto altro ancora.

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Bonucci non ha mai nascosto “la sua arma segreta” ma il Mental Coach sportivo è una figura in forte crescita ed espansione: sono sempre più numerosi gli sportivi e gli allenatori professionisti che decidono di affidarsi ad una figura che li aiuti ad essere pronti «mentalmente ed emotivamente». “Il mental coach aiuta il calciatore a essere preparato mentalmente ed emotivamente ad affrontare le sfide del proprio sport. Lo porta a compiere una peak performance (prestazione ottimale) durante la partita. Il calciatore, per rendere al meglio deve sviluppare la propria mentalità vincente, deve rafforzare le proprie convinzioni positive e trasformare le proprie convinzioni limitanti” spiega Mauro Pepe, Mental Coach di professione.

La domanda è lecita: Cosa fa un mental coach?Aiuto l’atleta a tirar fuori il meglio da sé – spiega il motivatore Roberto Civitarese in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera – e per fare questo fornisco degli strumenti ben precisi per un allenamento quotidiano sulla propria testa. Utilizzo tecniche della Pnl (la programmazione neurolinguistica) applicate al calcio, lavoro cioè su tre aspetti: il focus, il linguaggio e la fisiologia. Fissiamo un obiettivo con il giocatore e ci concentriamo su ciò che bisogna cambiare per ottenerlo. I ragazzi si dimostrano molto ricettivi: per tutti ci sono sempre margini di miglioramento”

“In genere non uso solo la Pnl, ma tutto quello che può servire, come ad esempio la meditazione dinamica o l’ipnosi”  afferma nella medesima intervista il mental coach Vittorio Tognazzi e sottolinea come “Negli sport individuali il mental coach è una figura accettata da anni, nel calcio ci sono ancora delle resistenze ma sta prendendo piede”.

Un calciatore ha quattro aree fondamentali da allenare. Quella tecnica, quella tattica, quella fisica, ed una mentale ed emotiva. In termini semplici, allenare la mente significa identificare, insieme allo staff tecnico, ed ai giocatori stessi, quelle aree specifiche in cui il calciatore può e vuole migliorare e preparare delle strategie di intervento. Significa quindi offrire supporto all’atleta in una delle aree fondamentali dell’allenamento” e quanto spiega Christian Lattanzio  il Mental Coach più famoso e ricercato del Regno Unito.

Capire quanti atleti si rivolgono a un Mental Coach in Italia non è semplice perchè molti  preferiscono l’anonimato e non gradiscono se ne parli.
E’ però oramai un fatto acclarato che il lavoro sulla motivazione, sulla gestione dello stress e l’autostima, possono fare la differenza aiutando gli a trovare l’indispensabile concentrazione. Ci sono molti calciatori seguiti da mental coach: Hernanes, Jorginho, Aquilani, Obiang; anche alcuni allenatori molto noti si sono avvalsi dell’aiuto di un “allenatore della mente”: Ancellotti, Capello, Mancini, Petkovic, Luis Enrique.

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Insomma, in un calcio sempre più competitivo ed esigente i calciatori sono chiamati a continue sfide e devono farsi trovare sempre pronti “Capisco che chi non conosce certe situazioni, può sorridere – dichiarò Bonucci, alla Gazzetta dello Sport, nel novembre 2012 – Qualche compagno di squadra mi prende anche in giro e ci sta, perché parlo di cose che non comprendono. Io, grazie ad Alberto, ho però imparato a non giudicare. Al posto loro proverei questa esperienza: a me ha dato tantissimo“.

Caterina Autiero