E’ difficile che Javier Zanetti appaia in tv.

Ancora più difficile vederlo intervenire in un rotocalco rosa. E’ quasi impossibile anche intervistarlo sulla sua vita privata prima ancora che sportiva. Ma quando si riesce nell’impresa, è una felicità per tutti. E non solo per gli interisti. 

Javier Zanetti è il volto positivo del Calcio. Quello umile, buono, gioioso, riservato. Il volto che non rinnega le sue origini, la sua infanzia povera e complicata, anzi. Da quelle origini l’indimenticabile capitano nerazzurro ha trovato la forza e il coraggio, la volontà e la dedizione per aiutare i più sfortunati. I più deboli. Perché sa benissimo che anche lui avrebbe potuto essere uno di loro se quella sfera magica non avesse sedotto la sua vita. O forse è meglio dire se lui non avesse avuto la tecnica, i piedi e il cuore di sedurlo quel pallone.

Invece ce l’ha fatta. E’ diventato il Capitano. Dell’Inter sì, ma c’è qualcuno che tifa un’altra squadra che ha mai osato puntargli il dito contro? Esempio di fairplay e di eleganza, di educazione e di discrezione, alzi la mano chi non si è commosso il giorno della sua ultima partita.  Una partita che avremmo voluto non arrivasse mai.

“Non ho dormito, sapevo che tutto sarebbe cambiato. Avrei voluto non finisse mai quella notte. Mi chiamano ancora tutti capitano, nessuno mi chiama vicepresidente”.

Immenso dentro il campo per il suo impegno e la sua grinta. Immenso fuori dal campo. Generoso, altruista, con la sua fondazione PUPI cerca di portare conforto e aiuti, cuore e anima al servizio di chi la vita ha voltato le spalle. Perché lui non dimentica. Non può dimenticare.

“Mio padre mi ha insegnato i valori del rispetto, soprattutto nei confronti del lavoro altrui. Non dimenticherò mai l’infanzia a Buenos Aires”.

Mi piacerebbe un mondo dove ci fossero più… Javier Zanetti.

 

Giusy Genovese