” Però Messi non è un leader”.

Così recita, provocatorio, il tweet di questo tifoso – blaugrana, per quello che si può comprendere dalla immagine profilo – riportando il video del breve discorso fatto da Lionel Messi ai suoi ieri sera, nel tunnel verso il prato verde.

Solo pochissime parole, qualche gesto. Perchè Messi in verità non ha il sacro fuoco del carisma. E’ un silenzioso, un introverso, tanto da risultare scostante e antipatico talvolta. Non ha connaturata in sé la vocazione alla Leadership, non nel senso canonico in cui lo vorremmo noi.

E’ uno che preferisce far parlare le gesta, i momenti, le reti: come ieri sera. E’ uno che si è sobbarcato questa squadra – disordinata, ammutinata, confusa – e che per questo ne porta croci e delizie. Spesso più croci in verità. Ieri ha risposto a modo suo: con un gol strepitoso, come già fatto alle qualificazioni, e in altre occasioni.

In un costante, eterno rapporto di odio e amore con quella maglia che lo attrae e lo respinge, amante crudele e irresistibile.

Un giocatore che unisce, divide, fa parlare così costantemente di sé in ogni momento, un giocatore cui si chiede sempre e comunque di spostare gli equilibri, non può che possedere le stigmate del fuoriclasse e non può che essere eletto capo. Pure suo malgrado: oneri e onori. Anche quando si fionda – letteralmente – sulle spalle del compagno gregario che per una sera è l’eroe Nazionale.

Ben lo sanno i suoi uomini, che lo abbracciano quasi soffocandolo a fine gara mentre lui nasconde sul loro petto qualche lacrima. E ben lo sa soprattutto Paulo Dybala, che esulta alla stregua dei titolari, rassegnato alla sudditanza verso questo Re tante volte esautorato, ma che torna sempre in auge. Non è il suo tempo ancora e, da ragazzo intelligente, sa aspettare.

Ora c’è la Francia,  avversaria temibile per questa fragile Argentina in balia degli eventi.  Ci vorrà il miglior Re: quello ripescato dalla polvere e dalle lacrime di questi giorni.

Lo stiamo tutti aspettando.

Daniela Russo