Era il 16 marzo del 1969.
A Cagliari la sua Roma resiste all’allora fortissima squadra sarda. La gara termina 0-0.
L’attaccante Giuliano Taccola però non ha potuto fare altro che assistere alla gara dalla tribuna per poi raggiungere i compagni negli spogliatoi.

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Quel clima di festa dura poco. Giuliano ha un malore, si accascia al suolo e chiude per sempre gli occhi. 

In questi anni molte ipotesi sulla sua morte sono state fatte. Il suo decesso è avvolto tuttora da mistero.

L’autopsia indicherà un arresto cardiocircolatorio, senza ulteriori particolari.
La sua vedova, Marzia Nannipieri, che all’epoca aveva soli 23 anni e due bambini di 4 e 6 anni, continua a ripetere: «La morte di Giuliano non fu fatalità, ma un omicidio».

Giuliano aveva soli 23 anni e cominciò a stare male a fine dicembre del 1968 quando era considerato uno dei migliori attaccanti italiani ed era alla sua seconda stagione in giallorosso. 

Dopo aver già siglato 12 reti ed essere una pedina offensiva eccezionale per mister Herrera, viene colpito da ricorrenti attacchi febbrili che lo costringono a saltare allenamenti e partite. Si sospettò avesse un’infezione batterica così, a febbraio del 1969, venne operato per la rimozione delle tonsille. L’operazione riuscì ma perse molto sangue.

Taccola avrebbe necessitato di riposo invece venne spinto a forzare per rientrare in campo il prima possibile. Giocherà e si allenerà nonostante una notevole perdita di peso, febbre continua e numerosi svenimenti, l’ultimo dei quali durante la rifinitura, proprio il giorno prima alla sfida di Cagliari…

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