C’è il calcio, le luci degli stadi, le foto richieste dai bambini, la maglia da autografare. I tifosi che urlano il tuo nome.

Poi ci sono gli stipendi da capogiro, i vestiti firmati, i ristoranti stellati. La fama e il  successo.

Ma prima… prima ci sono i sacrifici, le lacrime, il sudore. Il campetto distrutto. Le scarpe rotte, senza tacchetti. Alcuni sogni infranti e altri ancora da realizzare.

 

È la strada da percorrere per arrivare lì in alto dove in pochi riescono. E tra chi ha vinto c’è il nome di Sadio Manè, attaccante classe ’92 del Liverpool, cresciuto in una delle zone più povere del pianeta. Ha sofferto la fame, sopravvissuto a tempi difficili e lavorato sui campi in condizioni disumane. Un bambino che si è visto negare l’istruzione, obbligato così a diventare adulto troppo in fretta. Un pallone da calciare nelle strade polverose delle sua Sedhiou, per lui, era l’unica salvezza:

Giocavo per strada o dove capitava. Ho avuto il pallone fra i piedi sin da quando avevo due o tre anni. Quando vedevo bambini giocare a pallone per strada mi univo a loro. È così che ho cominciato, per strada. Tutti mi dicevano che ero il migliore in città, ma la mia famiglia non vedeva di buon occhio questo sport. Quando hanno capito che nel mio cuore e nella mia testa c’era solo il calcio si sono convinti a lasciarmi andare. Crescendo sono andato a vedere delle partite, specialmente quelle della Nazionale. Volevo vedere i miei eroi e immaginare di essere uno di loro.

Qualcuno, da giovanissimo, lo segnala alla Generation du Foot, il vivaio di giocatori africani fondato dall’ex calciatore Amady Touré nonché la scuola calcio più importante del Senegal. Quella è la svolta.

Manè all’età 15 anni parte per l’Europa, direzione Francia, senza soldi in tasca ma con tanti sogni in testa. La chiamata del Mezt sancisce l’inizio della sua carriera: 

Ero così giovane e non è stato facile andare via. Mi mancava la famiglia, stare con mia madre e le mie sorelle. Ma per diventare un calciatore devi fare tutto questo e sapevo che questi giorni difficili mi avrebbero aiutato a raggiungere il mio obiettivo. Dovevo lavorare duro, spingere al massimo. Ero sicuro che qualcosa di grande sarebbe successo.

Non poteva prevedere quello che sarebbe successo negli anni a venire. Doveva solo sudarsi ogni conquista. Ogni singolo minuto in campo.  

immagine-fonte: goolbook.com

In Europa si fa notare in poco tempo: la prima chiamata arriva dal Salisburgo, squadra in cui gioca per due stagioni. Poi a puntare gli occhi su di lui è il Southampton. E infine il Liverpool è pronto ad acquistare il gioiellino per oltre 40 milioni di euro.

Manè, con la maglia dei Reds, la numero 10, sale sul tetto d’Europa e diventa il calciatore africano più pagato della storia. Niente lusso per lui, niente Ferrari, né diamanti. Le cose materiali le lascia con piacere agli altri. Grazie al suo stipendio può aiutare chi è meno fortunato di lui. 260.000 euro è la cifra che ha speso per costruire una scuola in Senegal, in aggiunta ha fatto realizzare un ospedale e un piccolo stadio per far provare ai ragazzi africani la felicità del gioco del pallone. 

Manè
Teledakar

 

L’attaccante è stato inoltre protagonista di un bellissimo gesto: fotografato da un fan, il senegalese ha aiutato a pulire il pavimento dei bagni della moschea che frequenta sempre a Liverpool. 

Manè è il calciatore che non ti aspetti. Lontano da ogni stereotipo. Normale in un ambiente che ci ha abituato che la normalità è altro. Non ha mai dimenticato le sue origini e i passi che ha dovuto fare per arrivare a essere tra gli attaccanti più forti d’Europa. Con gli occhi di oggi guarda indietro e vede un bambino pieno di sogni. È lui 10 anni fa. Gli regala un sorriso. E una possibilità per il futuro. E lo fa per altre centinaia di bambini.

Grazie Manè  perché a certi gesti non ci abitueremo mai. 

Sara Montanelli