L’Allegri “arciere” non ne risparmia una: dalla tecnologia ai colleghi allenatori, passando per la tattica e gli ex della Juve.

L’intervista al Mister momentaneamente lontano dal calcio, come sempre, lascia il segno. 

 

Nel mondo del calcio, come in tantissimi altri ambienti lavorativi con i riflettori sempre puntati, c’è sempre quel qualcuno che quando parla fa sentire il fragoroso scoppio di un petardo.

Come non annoverare tra questi “bombaroli” del pallone il “vincitor de’ vincitori”. Quello che a Cagliari era esploso come allenatore rivelazione, al Milan ha vinto e convinto, alla Juventus ha fatto il botto personale conquistando scudetti a gogo e altri trofei, arrivando fino alle finali di Champions League.

Lui, Massimiliano Allegri, classe 1967, livornese sanguigno, non le manda mai a dire:  il problema, pare, sorga proprio quando le dice lui.

Nella recente intervista rilasciata a Mario Sconcerti sul Corriere della Sera, l’ex mister bianconero – in anno sabbatico dopo la fine della sua avventura in quel di Torino –  ne ha avuto per tutti e su tutto.

Ma procediamo per gradi: gli argomenti della chiacchierata hanno spaziato dalla tattica al concetto di calcio moderno, dai consigli a Giampaolo ai riferimenti a Guardiola, dal calcio di Klopp alla tecnologia applicata al pallone. Analizziamo solo qualche passaggio.

Lui, sorrisone multidentato e capigliatura alla Conte prima della piantumazione, dal proprio ritiro volontario prima del ritorno (presumibilmente la prossima stagione), nella sua lectio magistralis nomina il Guardiola allenatore e lo fa citando i mostri sacri che, a detta sua, hanno fatto la fortuna del catalano : Xavi, Iniesta e Messi.

Abbiamo capito che se al Barcellona non ci fossero stati ‘sti tre, Guardiola sarebbe stato un Del Neri qualunque.

 Ok Max, andiamo avanti.

Capitolo tecnologia e calcio: troppa, asserisce Max, e troppo dannosa. L’occhio digitale conta ma è quello del tecnico a fare la differenza. Un giocatore lo scova l’allenatore, lo mette alla prova l’allenatore, lo valuta l’allenatore, lo valorizza l’allenatore. Si, ok, ci sta e questo, forse, è il passaggio più trasparente dell’intera intervista. Tutto va bene, Madama la Marchesa…

Capitolo filosofi e professoroni: il buon Max sostiene che nel calcio ce ne sono troppi mentre per l’Allegri pensiero, il calcio è una cosa semplice (Tiziano Ferro lo cantava dell’amore) e conta il risultato più che l’arzigogolo della tecnica, dell’intreccio notoriamente conosciuto come “scimunisciavversario”.

Lui è così, un panino al salame al posto del patè de foie gras.

Amato per le vittorie, soprattutto in bianconero, odiato e criticato molto spesso proprio dagli stessi juventini per i più disparati motivi e metodologie di lavoro, Allegri non ha lasciato la Juventus come una cinciallegra nella stagione dell’amore.

Tutt’altro: e non ha risparmiato nemmeno stoccatine rosso fuoco a Paratici e Nedved, oltre che di riflesso al patron Andrea Agnelli.

I primi due sembrano gli incriminati nel processo di divorzio dalla Juve, il terzo, colpevole di non essersi probabilmente fatto valere troppo riguardo la questione. Fatto sta che quest’anno, l’allegro Allegri osserva il calcio da lontano ma non troppo e – al netto del fatto di potersi godere la vita leggermente alla larga da domeniche bestiali con tutti gli annessi e i connessi dentro e fuori dal rettangolo di gioco – ha già annunciato il suo ritorno alla panchina nella prossima stagione.

A questo punto, s’ode in sottofondo la colonna sonora del film “Lo squalo”.

Non si sa ancora dove si accaserà Allegri, se in Italia o nella scintillante ed appetitosa Premier League (in Italia è già stato accostato a tutte le squadre, dal Napoli alla delegazione della parrocchia di Santa Cunegonda).

Aspettiamo trepidanti buone nuove allora. Forse Allegri, nel bene e nel male, piace comunque più seduto su una panchina che su una poltrona.

Simona Cannaò