Fa discutere il caso di Olivia, la bambina romana di sette anni che si è vista chiudere le porte della scuola di calcio. Polemiche indignate ma anche tanta solidarietà e speranza per la piccola e per chiunque coltivi il sogno del pallone

Chi dice donna, dice danno.

Siamo sicuri che sia davvero così? Oppure sono stati uniti due termini che magari tra loro c’entrano poco o niente e per pura assonanza sono diventati un modo di dire comune ma certamente che non rende lode al cosiddetto gentil sesso?

Probabile. Fatto sta che pare non ci sia molto distinguo nemmeno tra le “donne” in erba, quando in qualche modo, le si associa a qualche danno.

Danno sì, ma non certo cagionato: semmai subìto.

Con un senso di smarrimento e amarezza che fa comprendere quanto, nonostante i mille sforzi da ogni parte, sia ancora lontana la vera e completa inclusione delle donne in tutti gli ambiti, anche in quello calcistico.

E’ il caso di Olivia, sette anni, romana, con una grande passione per il calcio e una buona predisposizione a praticarlo, che giorni fa si è vista chiudere in faccia le porte di una scuola football locale, solo perché “femmina”.

Letterina di Olivia
Fonte immagine pagina Twitter Alia Guagni

Un episodio ignobile, un’esclusione che pullula di amarezza, che rievoca degli ancestrali concetti divisori tra ciò che si può fare e cosa non si può fare, solo perché si è donne.

Peggio se la donna in questione è una piccola donna, che forse, accanto ai consueti “giochi da femmina”, butta un occhio e un calcio ad un pallone e non solo per curiosità o come automatismo infantile.

E Olivia forse così ha iniziato a coltivare quella che poi è diventata una passione da vivere pienamente, in maniera seria e costante. Un sogno da far diventare realtà. E dal sogno all’incubo del rifiuto, del NO, della porta chiusa in faccia. E tutto questo perché sei femmina.

Nel 2020 siamo ancora qui ad indignarci perché il sesso è indice di differenza, discriminazione, esclusione, di epiteti poco gentili, che suonano come un marchio dal quale spesso è difficile affrancarsi, uno su tutti “maschiaccio”!

Pare ancora complicato interiorizzare certi concetti, evidentemente.

Forse sarebbe meglio regalare alle bambine solo bambole, neonati a cui cambiare pannolini e a cui dar da mangiare quando piangono, mini cucine attrezzate di ogni necessità, assi da stiro rosa e tutto quello che nell’immaginario collettivo  fa “femmina”.

Meglio non vederle giocare a rugby, a calcio, a tirare di boxe o a cambiare un rubinetto munite di chiave inglese.

Olivia come tante altre, più piccole o più grandi di età, che diventano vittime e bersaglio di discriminazione, sessismo allo stato puro, emarginazione.

Olivia come tante altre, più piccole o più grandi di età, che vengono forse anche silenziosamente indotte a mettere da parte i propri sogni perché “non sono per loro”, “non sono cose adatte ad una signorina”, “una donna certe cose non le fa”.

La storia di Olivia sembra però destinata a avere un lieto fine.

Grazie anche al fatto che la notizia –  divenuta naturalmente virale –  sia arrivata fino alle giocatrici della Nazionale, che si sono fatte vive in men che non si dica e che hanno invitato la piccola a Coverciano: quartier generale delle Nazionali… Di entrambi i sessi. Ecco.

Buone notizie anche da Napoli e Fiorentina in versione donna, che hanno contattato la famiglia della piccola Olivia per invitarla a seguire le squadre, oltre che a manifestare solidarietà dopo quanto accaduto.

Un buon inizio, una buona speranza, ma ci si chiede ancora perché si è costretti a leggere certe nefandezze in un’era atomica di reattori, missili, stelle filanti e metropolitane (Cit. Totò)?

La vera notizia un giorno sarà  quella di non leggere più certe notizie. Di non conoscere altre Olivia se non per i successi ottenuti coltivando con passione e sacrificio i propri sogni, di non sentire odiosamente abbinata alla parola “donna”, parola “danno”: né fatto, né subìto.

Simona Cannaò