In esclusiva per Gol Di Tacco a Spillo, il giornalista Diego Mariottini, attuale responsabile della comunicazione sportiva dell’Università degli Studi di Roma Tre, ci racconta del suo nuovo libro, Outsider, che con le precedenti pubblicazioni, tra cui Ultraviolenza. Storie di sangue del tifo italiano e Tutti morti tranne uno, vuole mettere in luce con coraggio che, sì, possiamo tutti “sperare in un calcio migliore”. Gli “Outsider”, nel calcio, generalmente sono i sottovalutati, i derisi, coloro che quando scendono in campo vengono accolti con un sorriso ironico e tanto scetticismo. Ecco, non è sempre così, e il sistema si può sovvertire. Possono esistere storie di “piccoli” che hanno deciso di lottare, di non rassegnarsi, e di ottenere risultati strabilianti, che mai nessuno si sarebbe aspettato da loro. In questo libro, come sottolinea Roberto Mancini nella sua prefazione, Diego Mariottini “parla proprio di quei piccoli gruppi, italiani e internazionali, che hanno centrato o anche solo sfiorato un miracolo sportivo. Parla dei sacrifici, del lavoro ma anche del piacere e dell’esaltazione che si prova a stupire il mondo, a far ricredere tutti quelli (e sono tanti) che hanno scommesso contro“.

Come nasce l’idea di questo libro? 

L’idea di Outsider è nata dai precedenti libri che ho scritto, Ultraviolenza e Tutti morti tranne uno, dove ho cercato di denunciare il marcio del sistema calcio attraverso la violenza, la morte di gente allo stadio, le connivenze del potere politico, la compiacenza dei media, il simbolo di una società violenta nella quale il potere sguazza. Negli ultimi anni, il potere politico si è impadronito di questo linguaggio, e troppe persone si sono assuefatte a questa logica. Oggi, per molti versi, il potere non si contesta più, ci si limita a constatarlo. Allora, ecco che risulta necessario cambiare il metodo, passare per un’altra via. Perché al potere dà fastidio la verità, la ricerca, e dà fastidio che con poco si possa fare molto, che con poco si possano ottenere risultati simili a quelli ottenuti da chi onesto lo è un po’ meno. In qualche modo è lì che il potere va colpito: bisogna raccontargli storie diverse, fargli vedere che “allora si può”. Perché non è vero che per i piccoli non c’è niente da fare. Nella coscienza collettiva, bisogna lavorare proprio su questo, sul non rassegnarsi. Esistono storie diverse, io ne ho riportate solo otto, ma ce ne sono tante. Perché se è stato possibile una volta, beh, allora è possibile sempre. Almeno in termini di probabilità.

Parliamo in breve di alcuni episodi di cui parli nel tuo Outsider

C’è la storia dell’Atletic Bilbao, che ti fa vedere con chiarezza che dietro una squadra può esserci un pensiero, un’identità, un orgoglio, quello di rimanere sempre se stessi, di non vincere magari mai gli scudetti che vincerebbero altre squadre come il Barcellona o il Real Madrid, però di esserci ai propri patti, di andare contro le logiche del calcio moderno. Con qualche accorgimento, si può fare un calcio diverso, non schiacciato dalla massificazione o dalle squadre forti, perché ci crede un intero popolo. C’è quella del Bastia, che a un certo punto inizia a giocare un calcio bello, senza complessi di inferiorità, con alle spalle uno stadio “irraccontabile”, diroccato in mezzo a una palude. Poi, c’è la Danimarca, una Nazionale che non dovrebbe neanche partecipare ai campionati europei e che vince, con un Kim Vilfort che ogni volta che finisce una partita prende un aereo, torna a Copenaghen e va ad assistere la figlia che sta morendo di leucemia a otto anni, poi riprende un aereo, torna dalla sua squadra e invece di essere un uomo distrutto dà forza agli altri, che allora pensano: “Se ce la fa lui, dobbiamo farcela anche noi”.

Perché, secondo te, gli outsider diventano outsider? È solo ed esclusivamente una questione di soldi?

Spesso sì. Spesso la tradizione a vincere è legata al potere economico. Spesso, al potere politico, però quando c’è un ideale forte – e questi otto esempi lo dimostrano – si diventa una forza con la quale si è costretti a fare i conti. I soldi non possono tutto, altrimenti certi exploit non si spiegherebbero.

Pensi che questi otto episodi che racconti siano rimasti impressi nella coscienza collettiva, in primis in quella dei tifosi?

Io credo di sì, questi sono tutti esempi che hanno una loro forza intrinseca, che rimangono. Non ho scelto episodi che nessuno ricorda, ma ho voluto approfondire storie abbastanza conosciute per far vedere il loro lato nascosto, a volte poco raccontato.

Qual è il messaggio morale che deriva da queste otto storie che tutti dovrebbero leggere?

Queste storie mettono in mostra una mentalità diversa che dovremmo fare nostra anche nelle grandi città. Se esse non vengono “accolte” nella coscienza collettiva, il problema è solo di matrice culturale. Il potere dirà che episodi del genere sono possibili perché è stato possibile che una volta tanto Davide abbia battuto Golia. In realtà, queste storie sono l’esponente di un calcio diverso, che non significa consolazione dei poveri, perché se il povero viene consolato significa mantenerlo sempre così com’è. C’è bisogno di abituare il debole a pensare a se stesso come a un re, il povero deve pensarsi forte per diventare forte. Tutti questi esempi dovrebbero essere il corno d’ariete che sfonda una porta che poi non si richiude più. Se tu lasci che quella porta si richiuda, essa rimarrà la consolazione di una volta. Si deve modificare proprio una mentalità… Non bisogna rassegnarsi a tutto. Certe storie è importante saperle leggere.

Eleonora Tesconi