Il tecnico italiano fa doppietta e, dopo la Liga, si aggiudica la Champions League. Anatomia di un vincente, Carletto Ancelotti

Il fattore A, non quello X.
A come Ancelotti. Ancora lui, potremmo dire sempre lui, quello che dove va va, porta vittorie, al netto delle fisiologiche esperienze non felici che ogni essere umano, chi più chi meno, colleziona nella propria carriera.

A come Ancelotti, tornato all’ovile madrileno lo scorso anno, dopo il biennio 2013-2015 e un valzer tra Bayern Monaco, Napoli ed Everton.

A come Ancelotti, considerato inadatto a certi ambienti, a certe modalità di gioco; considerato brocco, bollito, superato, sopravvalutato, meramente fortunato.

A come Ancelotti, combattivo e combattente silente nonostante gli si abbia contestato di saper e voler allenare solo grandi squadre formate da grandi campioni e di aver fallito ove non abbia avuto a disposizione quanto sopracitato.

A come Ancelotti, che ha conquistato LaLiga con 13 punti di vantaggio sulla seconda, il Barcellona definito da molti “capiscers” del web come “il più scarso di sempre”, e con 15 punti di vantaggio sull’Atletico Madrid, altra squadra della capitale spagnola. Mah, non è che sono pochi, tutti questi numeretti di distacco…

A come Ancelotti, che in Champions League, prima di arrivare alla finale di Parigi (prevista inizialmente a San Pietroburgo), ha superato con i Blancos il girone di qualificazione agli ottavi, per poi beccare nell’ordine PSG, Chelsea, Manchester City e in finale, i Reds di un altro signore che vince e sa vincere: Jürgen Klopp.
Fortuna, già, solo fortuna, che in italiano trasformiamo prontamente in un noto termine di natura anatomica.

A come Ancelotti, che ha a disposizione una squadra mista, giovani e veterani. Vinicius Junior e Luka Modric, Camavinga e Benzema, Valverde e Marcelo, Militão e Casemiro.
Una fusion che ha funzionato evidentemente. Chi li ha amalgamati? Mah, forse lui, con il fattore A.

Ogni competizione un libro, ogni partita una storia a sé, ogni giocatore un tassello.
La finale di Champions, Courtois.
Il portierone belga l’ha vinta praticamente da solo, arginando decine di tiri da parte dei meritevolissimi inglesi, con una costanza, una prontezza e una resistenza degna di un trofeo con la Champions.

Anche così, anche se non brilli, anche se subisci palesemente e vieni visto come poco meritevole, anche se fai un solo tiro in porta ma quel tiro fa centro e allora la Champions League è tua.
È tua anche perché quel portiere lo hai messo tu lì, e forse lo hai motivato e preparato a dovere contro il temibile avversario in rosso.

Il fattore A è pure questo.

Ancelotti, piaccia o meno, ha sgarrato poco in proporzione a quanto invece ha vinto, anzi trionfato, anzi sbaragliato.
I detrattori spesso peccano di obiettività sebbene la sbandierino ai quattro venti (forse la loro dimensione migliore sarebbe ai quattro formaggi!) insieme ad una presunta competenza in materia.

Ma il calcio è sì, un fatto che si deve capire bene ma è anche una cosa semplice. Vince chi segna di più e chi è guidato da chi sa come vincere.
Carletto Ancelotti ha tutto questo e lo ha dimostrato.

Il fattore A, ancora una volta, si è manifestato sul campo.
Complimenti Mister, nulla quaestio.

Simona Cannaò