Superlega, a rimetterci alla fine sono solo i tifosi 

La nascita della Superlega e lo scontro con UEFA e FIFA ha scatenato il caos nel mondo del calcio. Troppi colpevoli ed una sola vittima: il tifo.

Non si sarebbe mai dovuti ad arrivare a questo punto, con squadre avide ed indebitate fino al collo che facendo presa su diritti TV malfunzionanti pretendono il monopolio assoluto del calcio fino alla creazione di un campionato chiuso ed elitario.
Motivazioni quasi condivisibili, mezzi e modi che rasentano la dittatura sportiva da entrambe le parti.

Il calcio, quello vero, quello puro e appassionato, è morto. Non è morto oggi e nemmeno domenica.
Lo sport è avvelenato ormai da tempo dalle emittenti private, dalle dirigenze ingombranti e da somme di denaro esorbitanti.
Si è perso di vista l’obiettivo principale: far sognare e divertire.

Andrea Agnelli
Foto: Twitter

È vero, forse il calcio aveva bisogno di una rivoluzione, ma era davvero una tale presa di posizione il modo giusto per affrontarla? La risposta è e sarà sempre no.
La storia ci insegna che tanto potere e tanti soldi nelle mani di poche persone, avide e consumate dalla voglia di monopolizzare, non conduce mai a buoni risultati.
Il calcio non è questa sottospecie di competizione, in cui la meritocrazia e la gloria passata non c’entrano proprio nulla.
Parlano di eventi di grande livello? E cosa ci sarà di sorprendente in Real e Milan che si affrontano ogni anno?
Un Leicester che affronta il Real Madrid, ecco cosa farebbe storia.

Fatemi un nome, il nome di un solo tifoso di qualunque squadra – anche juventino, interista o milanista che sia – che non si è emozionato per i mondiali del 2006, in cui l’Italia era data per spacciata.
Che non si è emozionato per il Leicester di Claudio Ranieri e Jamie Vardy che strappa la Premier League dalle mani del Tottenham.
Perché tutti abbiamo sorriso per l’Atalanta di Gasperini che dal nulla vola verso l’Europa.
Ognuno di noi era incredulo per il Galles e l’Islanda che eliminavano le grandi nazionali.

Nottingham Forest
Foto: Twitter

I nostri nonni hanno sognato con il Nottingham Forest degli anni ’70.
Anche i più acerrimi rivali hanno esultato interiormente per il Verona che conquistava lo scudetto.
Tutti gli italiani hanno urlato per il goal all’ultimo minuto del portiere del Benevento.
Chi non si è esaltato per il Borussia Dortmund che umilia il Real Madrid al Bernabeu?
A Napoli quando gli azzurri tornavano in Serie A dopo anni terribili si festeggiava in piazza come se avessimo vinto la guerra.
Se tutto ciò non ha avuto effetto su di voi passatevi una mano sulla coscienza e chiedetevi se amate davvero questo sport o avete solo brama di trofei.

È questo il calcio, con le sue mille contraddizioni, le grandi delusioni e le vittorie memorabili.
È vero, c’è molto da migliorare per ritornare ai tempi che furono, quando per allenatori, calciatori e dirigenti i soldi non erano tutto ciò che contava.
Quando i mondiali non venivano disputati in Qatar in pieno inverno sfruttando la povera gente per costruire gli stadi.
Quando la Supercoppa Italiana non si disputava a Doha per far contenti sponsor e creditori.
E sopratutto quando dodici squadre per un fatturato di mezzo miliardo non decidevano di creare dal nulla una lega privata tutt’altro che inclusiva, che non lascia spazio al merito e alla passione.

Tutto ciò in cui possiamo sperare è che arrivi una mediazione tra i potenti del calcio e che per una volta il primo pensiero, oltre al Fair Play Finanziario e ai diritti televisivi, sia l’amore e il rispetto nei confronti dei tifosi.


Federica Vitali