Negli anni ’80 Napoli-Juventus è stata la sfida tra due incredibili ’10’: Diego Maradona e Michel Platini hanno omaggiato per sempre questa sfida a suon di colpi di classe e genio

“Michel, lei sa cos’è a Napoli il Maschio Angioino?” “Certo. E’ Diego” ” Diego, che cosa è per lei Platini?” “E’ praticamente tutta la Giuve”.

Correva il 1984 quando Diego Armando Maradona approdò al Napoli. L’acquisto della vita per il presidente Ferlaino, che assicurandosi il giovane argentino lancia un segnale forte e chiaro agli squadroni del Nord Italia, Juventus in primis: signori, vogliamo vincere.

La Juventus ha appena conquistato l’ennesimo scudetto capitanata dal suo fuoriclasse francese che da Principe è già diventato Sovrano: Michel Platini, che si è preso la Signora portandola con sè sul suo trono. Le Roi, così lo chiamano, ha già all’attivo uno scudetto, una Coppa delle Coppe e ben due Palloni d’ Oro:  leader incontrastato della Serie A, soltanto Maradona potrà contendergli lo scettro.

Napoli impazzisce all’arrivo del talentuoso Diego: la città si colora ancor più di azzurro e tra i vicoli affollati dei Quartieri Spagnoli il viso del diez spesso prende il posto delle santelle: quasi un salvatore, il Predestinato alla riscossa totale del calcio e della città.

Solare, estroverso, esuberante: così è Diego Armando, che si conforma perfettamente con l’animo e il cuore della città che lo accoglie. Tanto quanto Michel è distaccato e ironico, in perfetta sintonia con la Torino sabauda: si concede poco, solo sul campo da calcio lascia intravedere chi sia davvero.

I due innescano una rivalità a distanza sin da subito. Senza polemiche, senza ferri corti: una rivalità tra signori, signori di un calcio che non c’è più. Indossano lo stesso numero ma non potrebbero essere più diversi, entrambi dotati di carisma ma con un’espressione agli antipodi.

Michel si muove con razionalità, detta i tempi di ciascuno con estrema precisione, quasi come un metronomo, un direttore d’orchestra; Diego invece è un’onda, che travolge con sè i compagni e li “costringe” a seguirlo senza possibilità di replica. Si contendono il potere a piccoli sorsi, tra punizioni pennellate, calci di rigore e magie di calibro incredibile. Sono come il sole e la luna: ugualmente belli, ugualmente indispensabili.

Si sono incrociati per soli tre anni e hanno segnato un’ epoca, la più bella del nostro calcio, forse. La parabola di Michel alla Juventus discende proprio nel momento in cui quella di Diego e del Napoli iniziano la loro ascesa. Il 17 maggio 1987, mentre Torino in lacrime saluta Platini che dice addio al calcio giocato – a 32 anni, oggi sarebbe improbabile – Maradona consegna alla città partenopea il sogno: il suo primo scudetto.

Ancora una volta agli antipodi, ancora una volta protagonisti di un medesimo ma opposto destino: quello di chi, sempre e comunque, è destinato a lasciare il segno. Platini porta la Juventus sul tetto del mondo, Maradona porta il Napoli nel regno della vittoria fino ad allora soltanto immaginato e desiderato.

Tre anni, sufficienti a creare un mito che non tramonterà. Da allora Napoli-Juventus è la sfida tra il genio dell’estro e la sovranità dell’equilibrio: tra Maradona e Platini, per sempre.

Daniela Russo