“Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro”.

Scrive così Pier Paolo Pasolini uno dei più grandi intellettuali che ha caratterizzato la storia del nostro paese. Per poter comprendere la vera essenza del calcio è importante soffermarsi sulla parola “rito” che il poeta utilizza. Pensandoci bene, il pallone ha dato vita a un vero e proprio linguaggio tutto suo.

Magicamente sul terreno di gioco si inizia a parlare la stessa lingua e che tu sia italiano, brasiliano o argentino, non importa. È il corpo a comunicare e il suo idioma è universale.

Calcio di provincia

Questo trovarsi e ritrovarsi, uguali, di fronte alla legge del pallone, fa sì che oggi questo sport sia uno dei più amati al mondo. Il segreto che mantiene intatto questo amore è proprio l’atmosfera rituale che si porta dietro, fatta di tifo, appartenenza e fede. Nel momento in cui si sceglie di “prestare fedeltà” a una squadra, sposando i suoi ideali e i sui principi, ci si sente parte di un unico grande progetto e di un’unica grande famiglia.

In quel momento si crea un legame che oltrepassa lo spazio tempo e prende vita una forma di continuità con le nostre tradizioni e con la nostra giovinezza. Come una sorta di bolla in cui ci si riconosce nonostante non ci si è mai visti prima d’ora.

Esiste un calcio non ancora pressato dal dio denaro che sventola fiero queste bandiere fatte di ideali: parliamo del calcio di provincia. Parole d’ordine passione e sacrificio. I ragazzi che militano in queste squadre hanno tutti un unico sogno, varcare la soglia del calcio dei grandi. Quello che forse ancora non sanno è che loro grandi lo sono già grazie ai numerosi sacrifici umani ed economici che affrontano ogni giorno. Sono i campetti di provincia a forgiare questi giovani, dove il segno dei tacchetti sulle caviglie è ben visibile, dove si impara a cadere e a rialzarsi. Dove si diventa uomini.

Il campetto di provincia è un grande maestro di vita, che si fa portavoce di rispetto, sportività ed altruismo. In questi campi si ha l’impressione che il tempo si sia fermato e che il calcio risplenda della sua luce più pura. È un esercito silenzioso ma potente quello delle realtà provinciali che sta iniziando sempre più a far sentire la sua voce. Ci si trova di fronte a uno step primordiale in cui si gioca senza pressing da parte di società, procuratori, sponsor e pay tv. L’unico pressing è quello che rivolgi a te stesso per rimanere concentrato e giocare bene. Si scende in campo e si da davvero il tutto per tutto come se si stesse giocando una finale di Champions League.

Il tifoso di una squadra provinciale sa che il cammino sarà spesso in salita ma non per questo si lascia scoraggiare anzi, il rito, di cui ci parla Pasolini viene fuori in maniera ancora più accentuata perché in questa parte di mondo calcistico ci si sente parte di un qualcosa di ancora più grande che identifica tutti nessuno escluso. Significa difendere un ideale che spesso è caratterizzato da spareggi, promozioni, lotte accanite per non retrocedere e stadi malmessi che però si fanno portavoce di passioni incondizionate. Qui l’amore non ha prezzo.

Calcio 1

Questo non vuol dire che nella nostra Serie A o nei campionati esteri, non siano presenti manifestazioni d’amore altrettanto forti, ma in uno spicchio di mondo in cui il business non è riuscito ancora ad avere la meglio, si ha come l’impressione di vivere qualcosa di più autentico. Una realtà in cui la squadra “piccola” può arrivare a diventare grande, dove il successo e l’insuccesso sono alla portata di tutti. Ogni giorno il calcio è protagonista di piccole o grandi rivoluzioni e tutto può cambiare ad una velocità disarmante. Basti pensare che quasi un anno fa la nostra Nazionale si trovava sul tetto d’Europa, ed ora è esclusa per la seconda volta consecutiva dal mondiale.

Fa strano pensare ma deve anche far riflettere, come alcune generazioni di giovani non abbiano ancora mai visto gli Azzurri competere per la coppa del mondo. Di riflessioni e di discussioni se ne fanno già tante ma credo, nel mio piccolo, che sia necessario far dialogare un po’ di più questi due universi paralleli: il calcio professionistico e quello provinciale/dilettantistico.

Sembra che esista un orologio biologico anche per i calciatori e se non esplodi nell’arco di un determinato periodo di tempo, allora hai esaurito le tue possibilità. È un orologio ricoperto d’oro quello che segna il tempo nel calcio. Ad ogni spostamento di lancetta, piovono soldi, quindi bisogna ottimizzare i tempi. Ma i giovani hanno i loro di tempi ed è giusto che sia così. Ecco perché bisognerebbe dargli più fiducia e più spazio, andando a prenderli da quei campetti per scrivere un nuovo futuro.

Elisa Licciardi

 

Si ringrazia per le foto Stefano della pagina Instagram Mister di Provincia