Chi di noi non ha visto almeno una volta “Sognando Beckham”?

Il film, che lancia una giovanissima Keira Knightley, prende spunto dalla fama del celeberrimo calciatore inglese per raccontare la passione per il football di due ragazzine di diversa etnia.

David Beckham – ovviamente – nel film non compare mai, ma è una vera e propria musa per le due giovani che sognano in qualche modo di eguagliare le gesta del campione anglosassone.

Stiamo parlando di uno dei centrocampisti più acclamati della storia inglese.

Tuttavia David Beckham è famoso anche per la sua prestanza fisica che lo ha reso protagonista di molti spot pubblicitari iconici come quello di Armani.

Beckham è forse il primo di quei calciatori che, abbinando bravura e bellezza, sembrano quasi doversi giustificare per  il proprio aspetto fisico.

Come se la  seconda spostasse automaticamente in secondo piano la prima.

Vuoi anche per il suo matrimonio con Victoria, ad ogni modo, ho sempre avuto l’impressione che di David si parlasse troppo per l’aspetto fisico e troppo poco per quanto fatto sul campo.

Più del suo matrimonio, e meno delle sue gare. 

È il primo di diversi calciatori in  questa nostra epoca, fatta maggiormente di apparenza, di TV, di social: un’epoca decisamente più patinata.

Eppure, malgrado dovremmo essere tutti più abituati alla bellezza esteriore, sembra al contrario che essere bello, soprattutto in ambito calcistico, sia un difetto. Un difetto che addirittura va a inficiare il valore atletico.

Alle radici di questo atteggiamento ci sono sicuramente ragioni socio-culturali.

LA BELLEZZA NON È “VIRILE”

Ricordo con molta chiarezza, durante gli Europei del 2008, mentre guardavo le partite della Spagna con un gruppo di amici tutti uomini, i commenti poco piacevoli, quasi sprezzanti, verso Fernando Torres.

Torres, all’epoca numero 9 della Roja, veniva classificato come “fighetta” per quel suo aspetto delicato, da fanciullo, per quella sua bellezza pulita che mal si sposava, evidentemente, con il gioco del calcio.

Perché il calcio è comunemente associato all’idea della lotta, quasi della guerra oserei dire.

E in guerra ci vai preferibilmente con uno dall’aspetto rude come Tevez, non con uno dall’aspetto efebico come Torres o, per restare in ambito bianconero, Paulo Dybala.

Proprio riguardo all’aspetto etereo, fanciullesco dell’argentino ho letto le peggiori affermazioni del web e dei social.

Quel viso da coppiere degli Dei è demonizzato in quanto portatore di debolezza per alcuni, di poca mascolinità per molti, addirittura di mancanza di carattere per molti altri ancora.

Un discorso molto simile lo associavo, non tanto tempo fa,  a Claudio Marchisio.

Eppure ricordo mio padre riconoscere senza remore la bravura e la competenza di Antonio Cabrini, così come il suo bell’aspetto. Dicasi lo stesso per Paolo Maldini.

In effetti, mio padre non mi ha nemmeno mai parlato del calcio come di un campo di battaglia.

Insomma: oggi se sei bello non sei virile, e se non sei virile non puoi giocare a pallone.

L’ “insulto” viene così allargato anche alle tifose,  “ree” di amare un calciatore soltanto per la sua prestanza e non certo per il suo effettivo valore. Cosa ne possono capire le donne dell’ ars bellica (alias gioco del calcio)?

Il tutto in un’epoca in cui, invece, prende sempre più piede l’idea che il calcio faccia oramai parte anche del mondo femminile.

Tra l’altro proprio l’ultimo Pallone d’Oro femminile, Alexia Putellas, ha incantato con la sua bellezza durante la cerimonia di premiazione. Ma non per questo le hanno ritirato il premio…

LA BELLEZZA COME SINONIMO DI SUPERFICIALITÀ

Siamo figli di una generazione che vive di apparenza.

Si appare in TV, ma sempre di più anche nei social, Instagram, Tik Tok, e via discorrendo. La comunicazione visiva è rapida, gratifica gli occhi e sovente non richiede un grosso sforzo mentale.

Spesso un’aspetto avvenente, specie se il soggetto è una donna, è il metodo più rapido per catturare il pubblico.

Questa formula si sta allargando sempre di più anche all’universo maschile. Il rischio tuttavia è quello di utilizzare la bellezza solo come una distrazione da contenuti più importanti e suscettibili di una dose di ragionamento.

Allo stesso modo, il calciatore di bell’aspetto sembra quasi indegno di avere anche un cervello che funzioni nel modo giusto. Sei bello? Ok, allora cosa ci fai a giocare a calcio? Meglio fare il modello, o l’influencer.

Tornando al caso specifico di Dybala, molti sono coloro che lo accusano di passare troppo tempo a “mostrarsi” sui profili personali, quasi come se questo inficiasse il suo rendimento durante le partite. Mi chiedo in che modo, poi.

Tempo fa lessi un articolo su L’Ultimo Uomo, in cui la descrizione di Paulo Dybala (fatta da un uomo) mi ha veramente colpito:

[…] Dybala è bello da vedere. So che è un aggettivo che può suonare banale, ma credo si adatti bene a lui, uno di quei calciatori che sta bene nella contemporaneità, che ricalca questa estetica dominante di oggi, un’estetica da Instagram (non a caso è uno dei calciatori con più follower al mondo). Dybala ha una bellezza efebica, profondi occhi verdi, un corpo glabro e dei muscoli tesi, quasi lucidi, il giusto numero di tatuaggi. Con un paio di cani particolarmente belli anche loro e una fidanzata famosa e altrettanto bella, la sua vita è la copertina curata di un disco pop.

Ecco, l’ultima frase rende bene l’idea di cosa possa pensare gran parte del pubblico maschile. La bellezza va bene, per esempio, se sei una pop star, se devi attirare una platea di ragazzine ai concerti. Che te ne fai per giocare a calcio?

(Ma infatti. Chi dice che debba servire sul rettangolo verde? Non vedo il nesso, sinceramente).

Eppure chi si sofferma a guardare veramente il gioco di Paulo Dybala si rende conto che dietro quell’aspetto “tirato a lucido” ci sia un cervello pensante.

Un cervello dotato di una intelligenza calcistica che gli consente di far la differenza, di essere leader tecnico nella Juve, di partorire lanci come quello visto durante la partita con l’Atalanta. E se è vero che i suoi gesti calcistici sono veramente belli (tecnicamente belli) non è soltanto questo.

Il calcio di Dybala non è solo bello, è anche utile.

Non è solo un vizio, per dirla parafrasando l’Avvocato.

Allo stesso modo, Fernando Torres fu protagonista indiscusso di quel titolo spagnolo, a dispetto del suo bel faccino. E sempre a dispetto dei suoi lineamenti delicati, verrà ricordato come uno dei 9 più poetici di questi ultimi decenni.

Con buona pace di chi lo ha considerato inadeguato. 

Purtroppo il mondo del calcio, come quello della vita di tutti i giorni, è pieno di archetipi (alcuni tipicamente occidentali) che si tramandano con estrema rapidità. Come quello, già analizzato, dell’uomo che “non deve piangere mai”.

Questo della bellezza è altrettanto radicato e parimenti demonizzato.

Eppure vorrei ricordare che la bellezza è un dono, non un merito e nemmeno una condanna. Andrebbe lasciata fuori dal campo, ammirata in altri contesti e soprattutto non vituperata perché responsabile di inibire il valore tecnico di un giocatore.

Aggiungerei, in un contesto di gioco (perché il calcio è un gioco, checché se ne dica), l’occhio vuole sempre la sua parte. Il calcio è anche bellezza, bellezza di un gol, di un’azione, di un gesto tecnico. 

La bellezza non limita il calcio: direi, anzi, che lo riesce a  esaltare.

La bellezza è una componente vitale dell’ arte (perché  il calcio è anche arte).

Non priviamocene mai.

 

Daniela Russo