Lazio, la pazienza è la virtù dei forti 

 

A volte è necessario fermarsi un attimo, raccogliere le idee e fare un punto obiettivo della situazione. È un passaggio necessario e obbligato quando le cose non girano nel verso giusto e nella mente si annidano i pensieri più cupi.
Calma. La parola chiave deve essere sempre calma. Quella calma che è la virtù dei forti e che se riesci ad ottenerla ti permette di avere una visione a 360°.

Tutto molto bello, ma cosa c’entra questo con la Lazio di Sarri? C’entra. Perché questi concetti valgono tanto nella vita, quanto nel calcio.
Perché se dopo mesi di euforia per l’arrivo di un tecnico come il Comandante, alle prime difficoltà congenite, ci si ritrova ad avere parte dell’ambiente sfiduciato, allora forse è necessario fermarsi un attimo e ritrovare serenità.

Ci sono persone che non sono in grado di aspettare, che non riescono a vedere alcun lato positivo o che, peggio, chiedono già oggi un cambiamento. Un altro. Come se quello attuale non fosse già un percorso complicato e lungo prima di poterne vedere i frutti. Allora forse a queste persone è bene ricordare da dove veniamo e rispolverare il recente passato.

Inzaghi con la Lazio, spesse volte, aveva fatto dei miracoli. Si è sempre detto e l’addio burrascoso non cambierà di certo un dato che è fattuale. Ciò che non si deve compiere, però, è l’errore di ricordare solo il bello e archiviare il (tra mille virgolette) “brutto”, pur di dare supporto alla propria tesi.
E La tesi in questione sarebbe che non possiamo aspettare tutto questo tempo, la Lazio gioca male, questo Sarrismo non si vede, non possiamo passare un anno così, ci sono cali d’attenzione, il modulo è inadatto… In sostanza? Sarri non va bene.

E sembrerebbe un paradosso visto il calibro dell’allenatore che i laziali hanno in panchina, ma evidentemente, troppo spesso, questo lo si dimentica. E allora andiamo per fatti. E anche qualche proverbio.

“Scava il pozzo prima di avere sete”.

Ovviamente che la Lazio stia faticando è oggettivo. Dopo cinque anni di 3-5-2 e dettami tattici ormai prepotentemente consolidati nella mente di ogni giocatore, attuare un cambio così radicale non è semplice. Ci vuole tempo e pazienza, perché si trattava di una rosa costruita e ideata esclusivamente per quel modulo, tanto che in situazioni di emergenza chiunque ricorderà Parolo adattato ad esterno destro, Marusic come centrale, Leiva difensore a partita in corso. Probabilmente “si aveva sete”, quella sete quantomeno di duttilità e variante tattica, già prima. Ma il pozzo non è stato scavato all’epoca. E oggi Sarri si ritrova a dover (ri)costruire e a doverlo fare battendo il tempo.
Perché oggi sì che si ha sete. E sì, il pozzo serve.

“Chi ha spostato la montagna, ha iniziato togliendo le pietre più piccole”.

Ad oggi la Lazio si ritrova ad avere 11 punti in classifica alla settima giornata: tre partite vinte, due pareggiate e due perse. Un bottino che tra alcuni, più rumorosi di altri, sta portando malumore.
Per i più attenti in realtà questo dato suonerà familiare, perché i biancocelesti non stanno facendo nulla di più e nulla di meno rispetto a quanto realizzato con Inzaghi negli ultimi due anni: esattamente lo stesso punteggio, alla stessa giornata e sempre con almeno due big affrontate.

E se l’andamento di inizio stagione sotto la gestione Inzaghi era comunque frutto di una realtà ormai consolidata, di un lavoro costante e perenne basato su cinque anni di allenamento e di una squadra che giocava spesso a memoria, lo stesso non si può dire oggi.
La Lazio, in questo momento, è un cantiere a cielo aperto. È costruzione totale e, in parte, anche rivoluzione. È cambiamento allo stato puro: di gioco, mentalità, schemi, idee.
È spostamento di quelle prime pietre per muovere poi una montagna intera.
Non c’è nulla di definitivo in ciò che si vede, nè nelle vittorie, nè nelle sconfitte. È tutto lavoro, esperimento, tentativo, prova di insediamento di una filosofia complicata.
Nonostante ciò, però, facendo un discorso meramente di risultato che Sarri tanto detesta… La Lazio non ha fatto nulla di più e nulla di meno rispetto a quanto fatto con Inzaghi a parità di giornate.
Non giocando con quella stessa sicurezza, è vero, ma questo non deve essere un fattore negativo, quanto più consapevolezza che, mentre nei precedenti anni, ad un punto tale ci si arrivava come risultato di un progetto ben definito, memorizzato e funzionante, ad oggi questo invece rappresenta un punto di partenza: la prima pietra per spostare la montagna.

“È meglio accendere una candela, che maledire le tenebre.”

Recita così, un antico proverbio cinese,che non può che essere perfetto per questa situazione.
Perché per quanto è pur vero che bisogna aspettare, la Lazio è comunque in difficoltà. Oltre che per un discorso di gioco, anche dal punto di vista di mentalità. E se squadra e tecnico hanno un bisogno viscerale di lavorare ancora, dalla sua, anche l’ambiente non può farsi trascinare in futili pessimismi assolutamente non consoni ad una settima giornata di campionato.
La tifoseria deve essere fronte unito a difesa della squadra, esattamente come lo sono stati i duemila di Bologna. “Oggi ho visto un pubblico straordinario. Sotto di 3-0 la curva della Lazio ha continuato a fare il tifo, non ha mai fischiato la squadra”, ha dichiarato Sarri nel post partita. E questo deve essere, ad oggi, l’atteggiamento.
E tralasciando i meri discorsi morali e di appartenenza, serve farlo perché la Lazio, semplicemente, ne ha bisogno. Perché serve sentire supporto dall’ambiente, perché merita il beneficio del dubbio e perché è doveroso avere fiducia in un tecnico che dichiara apertamente di parlare “a difesa del popolo laziale”.
Le cose poi, in realtà, non vanno così male come si lascia intendere, ma se per alcuni quello attuale costituisce un “buio”, allora sta anche a quel qualcuno accendere una candela ed aiutare a fare luce.

“Accada quel che accada, anche il sole del giorno peggiore tramonta”.

E forse, il giorno peggiore di questo inizio di campionato, risiede proprio in quel Bologna-Lazio del 3 ottobre.
Le partite si possono perdere, ma farlo in quel modo non è degno. Al Dall’Ara si è vista una squadra spenta, poca voglia, mentalità assente.
Quella stessa mentalità per cui si passa dallo sfiorare le stelle la settimana precedente, per poi toccare il fondo quella successiva: “Sono qui da 6 anni e facciamo sempre così, abbiamo un periodo positivo e poi cadiamo in questo tipo di partite”, ha rivelato a Sarri un giocatore.
Questo, si, che è un problema vero, reale, ma che ormai è definito. Una volta capiti i dati del problema, per la risoluzione basta usare le formule giuste. Spetterà al Mister capire quali siano.
Adesso l’obiettivo è archiviare questo inciampo, questo giorno, quello peggiore. Il sole tramonta e come sempre sorge una nuova alba. Sta alla Lazio far si che sia diversa dalla precedente.

“A chi sa attendere, il tempo apre ogni porta”.

La parola chiave deve essere, sempre, la stessa: calma.
Forse alcuni non ricorderanno, forse le aspettative erano troppo alte, ma Sarri stesso lo dichiarò ad inizio stagione: “sarà un anno di costruzione per essere più competitivi nei prossimi”.
Ci vuole pazienza, bisogna saper aspettare e imparare a farlo se non si è abituati. Perché per squadra, società e la maggioranza dei tifosi, quello con Mister Sarri, è un progetto a lungo termine per il quale vale la pena investire tempo. È stata una scelta voluta e ponderata dal quale non si tornerà indietro dopo un mese e nemmeno dopo sei. Perché come in ogni progetto, prima bisogna gettare le fondamenta per poi costruire i muri.
Quello che il tifoso (con doveroso diritto di critica, sia chiaro, purché costruttiva e non distruttiva) deve fare è aspettare, fidarsi e affidarsi. Quasi come fosse un obbligo morale.
Perché a chi sa attendere il tempo apre ogni porta.
E quella della Lazio è, e dovrà essere, quella della bellezza.

 

Lidia Ludovisi