Quanto vale oggi essere un giornalista sportivo?
Chi lo è veramente e chi invece si è trasformato in frivolo gossipparo?

A mezzogiorno, col giornale si possono avvolgere le patate.
(Luigi Pintor)

Se con il giornale a mezzogiorno si possono avvolgere le patate, con i giornalisti che si fa? Per cosa li usiamo? Dove li mettiamo?
E di quelli sportivi poi, che sembrano appartenere ad un’ulteriore categoria?

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Il mondo del giornalismo è cambiato negli ultimi decenni, e non poco, si sa.

I media hanno subìto, o perpetrato, a seconda di come la si vuole vedere, cambiamenti più o meno rilevanti che hanno sensibilmente influenzato la professione stessa del giornalista.

L’avvento delle nuovissime tecnologie, i social networks alla portata praticamente di tutti e sostanzialmente con pochi e discutibili controlli concernenti il famoso concetto di “libertà di parola ed espressione”, stanno dando una visione del pianeta dei cosiddetti “addetti ai lavori”, i giornalisti appunto, diversissima da quella che è stata per molti decenni, anche nell’immaginario collettivo?

Come si inserisce o meglio, come si reinserisce in questo contesto, il giornalista sportivo?

Fa ancora “il suo mestiere” come il cercare notizie, verificarle e diffonderle nella maniera più eticamente corretta possibile?

Sostanzialmente si… Il problema sono proprio le notizie.

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Parlare di sport e di chi ne ha fatto una professione, mettere a fuoco punti di forza e di umana debolezza, celebrarne a dovere i trionfi, non calpestarne le cadute, non deviare oltremodo da quella che è la strada da seguire, non oltrepassare certi limiti, non invadere troppo la sfera del privato.

Ecco, questo è il punto invece su cui, negli ultimi anni, sembra si stia concentrando una buona fetta del lavoro del giornalista sportivo.

Stiamo assistendo ad un’invadenza pressoché discutibile nella sfera privata dei professionisti dello sport, alla caccia del pettegolezzo, dello scoop, dell’inciucio, della notiziona che va oltre quella che deve necessariamente riguardare le prestazioni di un professionista.

Man forte, nemmeno a dirlo, la danno proprio i famigerati social.

E man forte la danno anche, sovente, chi si accompagna agli sportivi.
Mogli, fidanzate, compagni, parenti, amici e affini e collaterali che, usando i social, rendono partecipi il mondo intero delle meravigliose performance dei più famosi esponenti della famiglia.

La nuova casa, le vacanze e ancora dolci attese, matrimoni, tradimenti, inizi di attività imprenditoriali e quant’altro, il tutto condito da foto o video decisamente attraenti.

Questo è ciò che viene fuori dai social, questo è quello che spesso si riporta sotto forma di notizia, magari anche al posto di qualcosa di più rilevante.

Lo si è visto anche alle ultime Olimpiadi, allle Paralimpiadi e agli Europei di calcio.
Sì, bellissime le vittorie, i record, le prestazioni ma ci chiediamo: “È davvero necessario questo GRANDE FRATELLO posto costantemente sulle vite di calciatori, atleti, tennisti, nuotatori, etc…?”

Davvero interessa questo al lettore medio, al visualizzatore medio di post sui social?

Davvero infilare la forchetta nel piatto degli altri ha un’attrattiva così forte?

Così grande è il potere del “fatto altrui”, del pettegolezzo?

Non rappresenta per il vero giornalista una sorta di nota di demerito il discostarsi da quella che è la narrazione dell’atleta, dell’uomo, della donna di sport, di ciò che rappresenta per la società, per il proprio Paese, del suo essere anche un esempio da seguire, magari per le nuove generazioni?

E quanta responsabilità hanno i giornalisti nel tralasciare ciò che davvero conta e preferire il vacuo, il frivolo, il superfluo?

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Sarebbe forse cosa buona e giusta il rivedere certe priorità, foss’anche per non rischiare di entrare in una bolla di pensiero che individua QUEL giornalista in QUEL dato contesto, esclusivo sì ma non certo per soli meriti.

Insomma, per non finire come un giornale utilizzato per incartare le patate o essere poi miserevolmente considerato non un giornalista ma un “giornalettista”.

 

Simona Cannaò