Tiziano Marino, giornalista e scrittore nonché Responsabile Comunicazione e Marketing dell’U.C. AlbinoLeffe,racconta Dario Hubner

Ci sono le società quotate in borsa, i calciatori con il Jet privato e poi c’è Dario Hubner. Il romantico, il passionale. Come noi. 

L’anti divo diventato eroe. Il ragazzo poi diventato uomo che giocava a calcio mantenendo inalterato lo spirito del fanciullino. Il bomber di provincia che ha infranto ogni record, amato da tutti per il suo carattere passionale, per la sua dedizione al lavoro, prima ancora che per i suoi gol.

Oggi la vita di Dario Hubner è diventata un romanzo. 

Dieci anni dopo la sua ultima partita, il re dei bomber si racconta nella sua prima autobiografia: Mi chiamavano Tatanka.  Storia di un personaggio romantico, simbolo di un calcio semplice, genuino.

Simbolo di una generazione che sapeva sognare.

Simbolo di un’epoca che non riavremo più.

 

Dario Hubner Mi chiamavano Tatanka

A darne voce,il giornalista Tiziano Marino, al suo secondo romanzo dopo Purosangue. Il Piccolo Principe, un campione a pane e acqua, dedicato a Damiano Cunego.

Tiziano Marino giornalista

 

Tiziano Marino oggi è anche Responsabile Comunicazione e Marketing dell’U.C. AlbinoLeffe, società che milita attualmente in Serie C. 

Da poche settimane possiamo trovare in tutte le librerie “Mi chiamavano Tatanka, l’autobiografia di Dario Hubner. Com’è stato collaborare con il re dei bomber di provincia?

Un privilegio e un sogno, visto che Dario è sempre stato tra i miei idoli calcistici. Come ho scritto nei ringraziamenti finali: “Un pranzo insieme a lui equivale a una lezione all’università del calcio e una a quella della vita. Ho tifato il campione, ho conosciuto l’uomo, ho scritto di entrambi ma soprattutto ho trovato un amico”.


Conosceremo un aspetto inedito di Dario?

Chi leggerà il libro scoprirà molti aneddoti inediti sulla sua vita da calciatore e non. Ad esempio alcune grandi passioni, come quelle per i Queen e la Formula 1. Dario non ha mai amato troppo le interviste, quindi “fortunatamente” parecchie cose non aveva mai avuto modo di raccontarle.


C’è una parte della biografia che ti ha emotivamente coinvolto più delle altre?

Il suo esordio in Serie A, una chicca per i cuori di ogni sportivo. Ma anche tutta la parte relativa alla sua infanzia e alla sua giovinezza, in quella provincia triestina – al confine con l’ex Jugoslavia –  dalla quale tutto è partito.

Dario Hubner appartiene a quella generazione dei calciatori romantici ormai in via d’estinzione, quanto manca al calcio di oggi una figura come Dario ?

Tantissimo, e non potrebbe essere altrimenti. Chi, come me, ha fatto in tempo a vivere gli ultimi veri eroi romantici dello sport più amato al mondo sa benissimo che non ci sarà più un personaggio come Dario Hübner.

Qual è la grande bellezza del calcio di provincia che quel calcio quotato in borsa non avrà mai?

La vicinanza alle persone, che sono poi le stesse che popolano gli stadi. Dario è stato molto amato, lo è ancora oggi e lo sarà sempre proprio perché ha dimostrato come anche un ragazzo di provincia come lui – grazie solo al proprio lavoro e sacrificio –potesse  arrivare ai massimi livelli.

 Appassionato anche di ciclismo – a Damiano Cunego hai dedicato il tuo primo libro – c’è qualcosa che il calcio dovrebbe prendere in prestito da questo sport?

Il fair-play e la correttezza a livello di tifo. Immaginate cosa vorrebbe dire far passare oggi un Cristiano Ronaldo tra due ali di folla in libertà assoluta, come capita ad esempio sulle strade del Giro d’Italia o del Tour de France. Sarebbe bellissimo, ma oggi una situazione del genere nel mondo del pallone è semplicemente impensabile.

Hai vissuto per diverso tempo a Los Angeles, come viene visto il calcio italiano negli States?

Da quei pochi che lo seguono, con grande ammirazione. Purtroppo, nonostante gli immensi sforzi (economici e non solo) da parte di alcuni club di portare in MLS grandi stelle – Beckham, Gerrard, Rooney, Ibrahimovic, ecc. il calcio fatica ad attecchire nella cultura americana, che predilige di gran lunga sport autoctoni come il football, il basket, il baseball o l’hockey su ghiaccio. Un discorso completamente diverso riguarda invece il calcio femminile statunitense, che è da anni il migliore in assoluto. Hanno investito molto e lo hanno fatto con la giusta metodologia, ciò che vediamo oggi ne è la naturale conseguenza.

Tiziano Marino giornalista Gazzetta dello Sport

Attualmente sei responsabile comunicazione e marketing per l’Albinoleffe, com’è nata questa nuova avventura?

Dopo quasi 5 anni a Los Angeles, avevo deciso di fare rientro in Italia, anche per scrivere l’autobiografia di Damiano Cunego. La proposta è giunta dopo qualche settimana dal mio rientro grazie a Simone Farina, direttore generale dell’AlbinoLeffe e mio ex compagno ai tempi del liceo, che in quel momento era alla ricerca di un nuovo addetto stampa. Diciamo che mi sono trovato al posto giusto nel momento giusto.

I pro e i contro del calcio ai tempi della comunicazione via social?

I social sono sicuramente un’arma a doppio taglio, perché con un semplice post si può accrescere in maniera esponenziale l’immagine di una società, di un calciatore o di un allenatore ma al tempo stesso la si può minare anche in maniera grave. Tutto sta nel loro giusto utilizzo. Non credo di dire qualcosa di assurdo nell’affermare che da un certo numero di followers in poi, bisognerebbe fare dei corsi per la corretta gestione degli stessi.

Oggi conta più una frase di un/una influencer che un editoriale di Gianni Mura, e questo è sicuramente un “contro”. Al tempo stesso però un appello per una causa benefica può arrivare prima al cuore delle persone se fatto ad esempio da un calciatore. Con il giusto equilibrio, credo che i social siano stati una grande invenzione, anche per il mondo del calcio.

Lo Sport è una costante della tua vita, come saprai noi siamo una redazione completamente femminile. Qual è il valore aggiunto che noi donne possiamo apportare in un ambito considerato prettamente maschile?

Capacità a parte – che appartengono a tutti indistintamente –, l’amore e l’attenzione che mettete nel fare le cose. La gentilezza che utilizzate nel comunicare.

Una storia di vita e di Sport che ti piacerebbe raccontare?

Infinite. Di certo mi piacciono gli eroi positivi e romantici, meglio se anti-divi.

Giusy Genovese