Se penso a Napoli e al Napoli mi viene in mente un nome: Raffaella Iuliano figlia di Carlo Iuliano, giornalista e dirigente del Napoli negli anni’ 60 che fu il fondatore del primo ufficio Stampa della Serie A.

Raffaella è una competente e apprezzata giornalista (proprio come il padre) e, come ama definirsi sul suo profilo Instagram, “figlia fortunata di un padre indimenticabile”.

Di Carlo, Raffaella, ne custodisce la memoria, curando nei minimi dettagli le sue pagine social.

raffaella iuliano

Iuliano è stato un dirigente molto amato e ha dato tanto al suo Napoli e alla sua città; era legato a Diego Armando Maradona da una profonda amicizia tanto da considerarlo una persona di famiglia.

Cosa avrebbe detto Carlo Iuliano in occasione del terzo scudetto azzurro non possiamo saperlo, sarà Raffaella a dirci la sua in merito a questo storico successo che lei stessa intende dedicare…

“…alle persone che non hanno potuto viverlo assieme a noi.
In primis all’uomo più importante della mia vita, mio padre, Carlo Iuliano,
che al Napoli ha dedicato oltre 30 anni di lavoro,
realizzando nel 1967 il primo ufficio stampa di una società di calcio in Italia.

E poi vorrei dedicarlo a uno degli uomini più generosi che abbia mai conosciuto,
Diego Armando Maradona.”

iuliano maradona

Come hai vissuto questa stagione così incredibile?
Posso dire di averla vissuta in maniera molto più rilassata dei due precedenti scudetti. Il Napoli in questa stagione ha accumulato un distacco così profondo dalle inseguitrici che ci ha consentito di “abituarci” all’idea di una vittoria del campionato da molti mesi.
In epoca maradoniana, invece, la lotta per il titolo fu combattuta fino alle ultime giornate.Quando hai capito che questo sarebbe stato l’anno in cui il Napoli poteva dire la sua?
Probabilmente dopo la vittoria per 5-1 contro la Juventus, una squadra sempre temibile che diventa spesso cartina di tornasole per il futuro delle sue avversarie.

Sarri, Ancelotti, Gattuso…oggi Spalletti, il tecnico che è riuscito a portare il Napoli sul tetto d’Italia, in cosa è stato diverso rispetto ai predecessori?
Ogni allenatore ha dato un contributo importante al percorso di questa squadra, ma Spalletti è riuscito più degli altri a sublimare le caratteristiche di ogni singolo giocatore, realizzando un gioco di squadra libero da eccessivi protagonismi. In questo, il tecnico attuale è stato certamente un maestro.

L’esclusione dalla Champions League e dalla Coppa Italia ha dato un dispiacere alla squadra, alla Società e ai tifosi, tu credevi in questo triplete? Cosa è mancato per raggiungere il prestigioso traguardo?
Il Napoli si è trovato di fronte avversari di tutto rispetto che avevano probabilmente una motivazione in più. Poi, specie nelle coppe, le qualificazioni sono spesso decise da episodi, ma non è il caso di avere rimpianti.

“Già aver raggiunto i quarti di finale di Champions per la prima volta nella storia del Napoli è un grande traguardo.”
Quale giocatore azzurro ti ha colpito di più?
Sarebbe semplice citare Osimhen o Kvaratskhelia, ma i calciatori che mi hanno più sorpreso positivamente sono Lobotka e Mario Rui. Entrambi venivano da anni di scetticismo generale, ma hanno lavorato moltissimo sulla qualità fino a diventare punti di riferimento imprescindibili nei rispettivi reparti.Il Presidente De Laurentiis guarda già al futuro e punta a vincere un altro scudetto ma soprattutto la Champions. Si può dire che il Napoli sia entrato in una nuova era?
Seguo il calcio da troppi anni per fare previsioni in tal senso. Per ora posso solo sperarlo.

Parliamo di tifo: quello bello, quello positivo che esprime solo gioia e felicità, e che è un po’ l’anima buona di questa città ospitale per tradizione. Secondo te, si può tifare la propria squadra senza augurare il male agli avversari?
In realtà l’essenza stessa del tifo consiste in questo, amare la propria squadra perché il tifo è espressione di amore, non di odio. Chi usa il calcio come pretesto per odiare gli altri non è un tifoso, è solo un personaggio profondamente limitato, che non conosce le basi della cultura sportiva.

Scriveva Giuseppe Pacileo, decano dei giornalisti partenopei:

“Dal lontano passato del calcio napoletano emerge una figura che ogni appassionato della maglia azzurra deve considerare indimenticabile: Giorgio Ascarelli. Egli non può essere altrimenti definito che un mito”.
Sa infatti di mito “quel nome, molto più che non altri ancora più lontani nel tempo, per la dimensione e la compiutezza realizzata a pro del calcio napoletano in periodi di stupefacente brevità”. Mitico anche, aggiungeva il giornalista, “per quella sorta d’aureola del martirio che gli regalarono, sebbene postuma, l’anormalità idiota delle leggi razziali e la normalità ignobile dell’umana ingratitudine”. Era il suo modo per denunciare quanto quel nome, il nome del fondatore e primo presidente del Napoli, fosse stato dimenticato. Una “umana ingratitudine” che ha finito per dissipare nel ricordo ciò che questo grande imprenditore e filantropo ebreo aveva fatto per la collettività locale. Dotandola di una squadra di calcio, di uno stadio di proprietà e soprattutto di molte strutture sociali all’avanguardia.

Quando parliamo di calcio pensando a Napoli, ci viene in mente Diego Armando Maradona: tuttavia, se esiste il Napoli calcio e se la città ha posseduto uno stadio di proprietà lo dobbiamo ad un uomo, un appassionato imprenditore della Borghesia Ebraica, Giorgio Ascarelli, il padre del Napoli calcio, colui che per primo sognò lo scudetto. Perché Napoli ha dimenticato il suo fondatore?
Purtroppo le nuove generazioni hanno poca sete di conoscenza quando si tratta di storia, quindi si adagiano sul semplice interesse verso i protagonisti dell’attualità, senza guardarsi un po’ più indietro. Ascarelli certamente meriterebbe più risalto, ma temo che nel calcio moderno ci sia sempre meno spazio per la gratitudine verso i grandi uomini del passato.Concludiamo con un desiderio: cosa vorresti per la tua squadra e la tua città?
Uno dei miei desideri è la rinascita del Centro Paradiso, il campo di allenamento di Soccavo in cui sono cresciuta, che ha accompagnato per oltre 30 anni le vicende del Calcio Napoli ed è stato la seconda casa di Diego Armando Maradona. Adesso del centro è rimasto poco, purtroppo. Ma coltivo sempre la speranza che un giorno qualche imprenditore si svegli e decida di rilevarlo, aiutandoci a creare un autentico luogo di pellegrinaggio per chi vuol conoscere i veri luoghi di Maradona. Perché lì si può percepire ancora il segno indelebile del suo passaggio.

Cinzia Fresia