Ho letto così tante critiche a Dusan Vlahovic nelle ultime settimane, critiche che onestamente mi strappano un sorriso amaro.

 

Faccio fatica a comprenderne almeno la metà perché mi sembrano assolutamente frutto della più totale superficialità, nonché di malafede.

Che l’attaccante di Belgrado, non ancora ventitreenne, abbia ampi margini di miglioramento, è fuori discussione; del resto appare chiaro a chi lo osserva che Dusan lavori costantemente sui suoi punti deboli.

Il momento che la Juve sta attraversando di certo non gli giova, ma nonostante tutto l’applicazione e l’impegno costanti di Vlahovic si percepiscono gran parte delle volte,  eccezion fatta delle partite stile Haifa, dove la Juventus è colata a picco in toto.

Questo costante desiderio di miglioramento fa parte di un corredo più ampio posseduto dal serbo, corredo di cui a mio avviso si parla veramente troppo poco.

Dusan Vlahovic, sebbene giovane, è già un leader.

Non si tratta tanto del suo ruolo in campo, in cui abbiamo più volte rimarcato la crescita esponenziale nel 2021 alla Fiorentina. Crescita che, considerata l’annata veramente NO della Juventus, inevitabilmente non procede al meglio e  non come lui vorrebbe.

Si tratta altresì di tutte quelle caratteristiche che Dusan mostra costantemente in campo, anche quando non è necessariamente sotto i riflettori. Aspetti di lui che emergono abbastanza in fretta se lo si osserva con attenzione.

Malgrado la sua innegabile ambizione (“Io non campo non guardo in faccia a nessuno, non c’è padre, né madre”, ammette in un’intervista), il centravanti bianconero è senza ombra di dubbio un uomo che lavora per la squadra.

Dannandosi l’anima, sbagliando anche mille volte, è innegabile che Vlahovic sappia comprendere i momenti positivi e quelli di difficoltà del gruppo. Un’ attitudine che lo distingue da altri che, alla sua stessa età, faticano a giocare per il contesto invece che per se stessi.

Proprio perché comprende quanto lui possa fare per la squadra, il serbo tende a essere molto autocritico con se stesso.

Quante volte lo abbiamo visto livido, quasi, di rabbia, perché consapevole di non aver fatto tutto come poteva o doveva?

Ben lo sanno i tifosi viola e se ne stanno rapidamente accorgendo anche i tifosi della Juventus. Insomma, non è cero uno che non sa prendersi le sue responsabilità.

Proprio a proposito di tifosi, emerge un altro lato della leadership di Vlahovic: il suo colloquio con il pubblico.

L’ho notato già a Firenze, lo noto ancora di più ora che è alla Juve, la sua capacità di comunicare anche con il corpo, la galanteria sotto la curva, la disponibilità con i bimbi, l’incitamento richiesto alla folla. Un vero leader deve saper entrare nel cuore della sua gente perché in questo modo può pretendere o chiedere venia, a nome anche dei compagni.

Altra dote, un equilibrio misurato nelle dichiarazioni. Dusan parla poco ma bene ai microfoni, come un bravo portavoce deve saper fare: ricordo la sua risposta al giornalista che gli chiedeva della villa di Ronaldo. Sceglie le parole con senno, con una maturità che quasi fa dimenticare la sua data di nascita.

Sembra sempre più adulto, posato, tanto che, riporta il libro “Vlahovic, non finisce qui”,  a Firenze non era mai “segnalato” per bravate notturne.

La serietà con cui affronta il proprio lavoro è un tassello molto importante della suo repertorio di uomo-guida. Basti pensare al fatto che, racconta sempre il libro, quando è arrivato in Italia masticasse già un po’ della nostra lingua. Questa serietà talvolta lo fa sembrare rigido, “impostato” ma è oro, soprattutto in una squadra in difficoltà come la Vecchia Signora oggi.

Non è un caso che, nel Derby di ieri, sia stato Dusan Vlahovic a caricarsi la Juventus sulle spalle. Se è vero che nello spogliatoio bianconero in questo momento si va a caccia di leadership, ebbene, non si può non cominciare dal giovane serbo.

Il fatto che sulla sua carta d’identità ci sia scritto Gennaio 2000 non può essere un pretesto per non tenere conto di questa sua inclinazione a fare da guida.

Aggiungo un’ultimo pregio, importantissimo, secondo me per essere un ottimo uomo spogliatoio: una ben celata ma spiccatissima sensibilità.

A parte tanti piccoli episodi raccolti qua e là in frammenti di partite, il vero Dusan viene a galla la scorsa stagione quando, con estrema delicatezza, accompagna fino all’ultimo momento il compagno di reparto Paulo Dybala in tutta la sua travagliata separazione dalla Juventus.

Tutto quello che ho elencato è accompagnato dal silenzio.

Dusan è defilato, quasi timido pur apparendo come una sorta di giovane leone in campo. Deve lavorare sul controllo dei nervi quando commette degli errori, ma non trascende mai in linguaggio inopportuno. Conosce il valore della gratitudine, della riconoscenza verso chi lo ha aiutato ( leggi Prandelli) e ama prendere esempio da chi vale.

Onestamente, pur riconoscendo che la sua maturazione è ancora tutta in fieri, la Juventus dovrebbe veramente considerare Dusan Vlahovic come una risorsa per la squadra.

Una risorsa che finora non è stata sfruttata certamente appieno, né sul campo, né per tutto quello che, umanamente, l’attaccante serbo può rappresentare.

 

Daniela Russo