Luciano Spalletti non è più l’allenatore dell’Inter. Dopo aver riportato l’Inter ad esser adolescente, se non adulta, così sen va e quivi m’abbandona. Ma è l’Inter ad esonerarlo e perde un pezzo di cuore e di anima

“Dobbiamo riportare l’Inter dentro la sua storia”

Furono queste le parole con le quali Luciano Spalletti aveva aperto la sua avventura all’Inter due anni fa. Alla fine di quella annata sventurata che era partita con De Boer e finita con Vecchi, passando per Pioli, esonerato a tre giornate dalla fine. Era Luciano il condottiero al quale l’Inter si affidava, al quale Suning si affidava seriamente per la prima volta. Un unico obiettivo: riportare l’Inter lì dove meritava di stare ad onor di storia, tra le grandi d’Europa. Riportare l’Inter in Champions League. Riportare l’Inter a riveder le stelle.

Per quel cammino ascoso intrammo a ritornar nel chiaro mondo; e sanza cura aver d’alcun riposo, salimmo sù, el primo e io secondo, tanto ch’i’ vidi de le cose belle che porta ‘l ciel, per un pertugio tondo. E quindi uscimmo a riveder le stelle.

Così sen va e quivi m'abbandona...Luciano Spalletti, ultimo degli interisti
Luciano-Spalletti-Lazio-Inter

S’i fosse foco, ardere’ il mondo

Cammino tanto ascoso quello di Spalletti sulla panchina nerazzurra. Su quella panchina sulla quale – tra l’altro – seduto non ci stette mai. S’i’ fosse foco, ardere’ il mondo diceva Cecco Angiolieri e Spalletti foco era e il mondo ardeva. Come per Sampdoria-Inter con l’urlo considerato troppo focoso, come quel 13 febbraio quando senza troppi giri di parole disse il perché Icardi non era a Vienna, come l’uscita clamorosa nel post Inter-Lazio. Foco che ardeva e che cenere fece.

Sì perché Spalletti di cenere e briciole, ad onor del vero, ne ha fatte. Scivoloni comunicativi, gestione e letture di partite discutibili, spesso terribilmente sbagliate. Un protezionismo spesso estremizzato, quasi a rasentare una pusillanimità di scelte, certamente mai azzardato davvero. Una mancanza di audacia che in più occasioni gli è costata l’etichetta di rinunciatario o peggio ancora di allenatore di seconda fascia. E c’è chi non dimentica e non perdona. Il cambio Santon per Icardi rimarrà sempre uno dei nei più grandi dell’epoca Spalletti d’altronde.

Errori commessi, un bel po’. Tuttavia Spalletti non fu solo questo. E se il fuoco dentro ne ha determinato spesso un ardore fin troppo divampante, certo quel calore non è stato solo carbonizzante. Spalletti all’Inter ha dovuto fronteggiare situazioni non poco scomode, societarie e del gruppo Inter nel suo complesso, quanto personali.

 fosse foco, ardere' il mondo

Ultima delle imprese, fingere serenità e pacatezza laddove a mancare erano l’una quanto l’altra. Persino il dramma della malattia del fratello, aggravatosi nelle ultime manche di campionato, nonché le più importanti, ha intaccato il suo lavoro e la sua professionalità con una tangenza tanto bassa da passare totalmente inosservata.

 

Il bene dell’Inter prima di tutto

Lo ha sempre ribadito nei suoi due anni su quella panchina: l’Inter prima di tutto. Persino prima di lui. E allora quelle parole che suonavano già di saluto, consapevole quanto sofferto. In una delle sue ultime conferenze pre partita disse: “Se il bene dell’Inter dovesse essere un altro al posto mio, è giusto che la società lo faccia”.

In silenzio ma col sorriso, Spalletti chiude gli armadietti di Appiano lasciandolo per un’ultima volta. Mentre s’avvia verso un dramma di certo notevolmente più ampio, saluta una parte di sé stesso. Saluta l’Inter che per lui, in fondo è stata quasi come una figlia. Come ogni figlia, saluta l’Inter dopo averla difesa sempre a spada tratta e infine, tra alti e bassi, condotta ad esser grande. Cadendo ma rialzandosi, soffrendo e dispiacendosi senza mai abbandonarla, a tenderle la mano finché il braccio poteva arrivare, finché lo sforzo di stirarsi poteva reggere. Non una, ben due volte, il tecnico di Certaldo ha centrato l’obiettivo impostogli e come un padre accompagna una figlia all’altare, la consegna ad un altro uomo con la consapevolezza che magari non la amerà mai nella stessa maniera.

Così sen va e quivi m’abbandona lo dolce padre, e io rimagno in forse, che sì e no nel capo mi tenciona.

Spalletti ultimo interista e unico a pagarne le spese

Al cambio Icardi-Santon, è seguito il gol di Vecino all’Olimpico. Il pertugio tondo che si schiarisce e le stelle sopra Milano che tornano ben chiare alla vista. La vittoria contro il Tottenham, il pareggio contro il Barca… e se il pareggio contro il PSV è in parte un po’ colpa sua, essere usciti da un girone di Champions contro la finalista, il secondo miglior attacco d’Europa e il Barcellona ad oggi non sembra neppure così clamorosamente fallimentare.

Persino l’uscita dall’Europa League sembra oggi meno deprimente di quanto quell’Eintracht-Inter fu. Infortuni determinanti, liste ristrette, FPF attanagliante, sottrazioni ad obblighi e doveri. Una stagione rivelatasi meno serena di quanto avrebbe dovuto. Peggiorando, più che migliorare, rispetto a quella precedente.

L’unico a caricarsene senza mai batter ciglio sembra essere stato sempre Luciano Spalletti che alle spallucce altrui, in una delle ultime sbottate, disse:

“Quello che fate oggi a me, lo fate all’Inter da fin troppo tempo”.

E allora sembra proprio il caso di dirlo, l’estremo difensore di un’Inter snaturata da sé stessa sembra proprio il filosofo di Certaldo che poi al di là di tutto ‘ha sempre messo tutti quegli ingredienti lì che permettono all’Inter di fare l’Inter’. Cosa volesse dire, probabilmente, non lo capiremo mai, come mai probabilmente avremo il piacere di sapere cosa intendesse ogni qualvolta ripeteva ‘Se l’Inter fa l’Inter’. E magari quegli ingredienti lì erano proprio l’amore, la dedizione e la fedeltà a certi valori, ingredienti che ad oggi sembrano quasi essere dimenticati.

Così sen va e quivi m'abbandona...Luciano Spalletti, ultimo degli interisti
Sky Sport

In un mondo troppo stretto per far spazio ai sentimenti e alle riconoscenze, forse Spalletti con “Se l’Inter fa l’Inter” intendeva lotta a prescindere dal risultato”. Sì perché l’Inter in fondo è proprio questa: lottare per essere non per diventare.

Almeno così era. Ma a quanto pare il famigerato “vincere è importante, non l’unica cosa che conta” (al contrario della controparte per antonomasia) non è più determinante come un tempo. E allora, a non capire Spalletti sono stati in molti.

 

In un’Inter senza un Capitano, vincere è diventata l’unica cosa che conta (o che Conte)

E dentro Conte ancor prima che Spalletti uscisse e persino prima che l’obiettivo stagionale si raggiungesse, ci fu chi parlò a gran lettere di Inter di Conte. Dunque sì, probabilmente Spalletti non è abbastanza per conseguire certi risultati a certi livelli. Tuttavia oggi a non essere abbastanza, più che Spalletti per l’Inter, sembra essere l’Inter a non essersi dimostrata abbastanza per Spalletti.

Un comunicato di esonero algido e triste e giocatori che hanno atteso 30 ore o più per esprimere un saluto e un pizzico di gratitudine. Sì, perché a Spalletti l’Inter deve un bel po’. Se non altro un’infantilità diventata pubertà prima, adolescenza dopo e se mai con Conte dovesse raggiungersi la tanto bramata maturità, volgere uno sguardo indietro sarebbe doveroso ancor prima che lecito.

Oggi, all’alba di una nuova era probabilmente vincente, l’Inter acquista senza dubbio un ottimo allenatore, perdendo però, senza altrettanti dubbi un pezzo di cuore e di anima. Un’ottima persona ancor prima di tutto.

Così sen va, e quivi m’abbandona lo dolce padre, e io rimagno in forse, che sì e no nel capo mi tenciona.

 

Egle Patanè