Un vero e proprio fulmine a ciel sereno l’esonero di Sinisa Mihajlovic ormai ex tecnico del Bologna. Un legame quello con gli emiliani iniziato nel 2019 e che si stava avviando verso l’ultimo anno di contratto. La classifica parla chiaro: tre pareggi e due sconfitte. Non l’inizio migliore certo, ma un simile epilogo forse nessuno se lo sarebbe mai aspettato.

I motivi che possono legarci ad una città sono molteplici; belli e anche dolorosi. Dal dolore si impara tanto, attraverso il dolore si cresce. E quando quel dolore decide di prendere casa in quel preciso momento della tua vita e in quel preciso luogo geolocalizzato, allora per forza di cose il legame con quel posto sarà indissolubile. Proprio quello che è successo a Sinisa con la città di Bologna. Una città che l’ha sempre supportato, abbracciato e mai lasciato solo, soprattutto da quel 13 luglio del 2019 quando gli fu diagnosticata per la prima volta la leucemia.

Come per i calciatori, anche per gli allenatori il destino a volte porta a diventare persone di famiglia. Il calcio prima entrava nelle case solo la domenica, ora non c’è un giorno senza pallone e quindi ancora di più si è abituati ad avere Mihajlovic a cena con noi. Il serbo stesso nella lettera di commiato ai suoi tifosi ha dichiarato:” Saluto dei fratelli e dei concittadini. La mia avventura al Bologna non è stata solo calcio, non è stata solo sport. E’ stata un’ unione di anime, un camminare insieme dentro un tunnel buio per rivedere la luce”. E ancora:” Ho sentito la stima per l’allenatore e quella per l’uomo”. 

Lui che scrive ancora dicendo di essere stato addolcito dall’Italia e dal modo di essere degli italiani, ma che resta pur sempre un serbo a tutti gli effetti. Forse a tratti spigoloso e restio nel lasciarsi andare a manifestazioni d’affetto, ma sempre pronto a rispondere presente. Nella vita contano più i fatti delle parole e Mihajlovic questo lo ha sempre dimostrato. Significative in questo senso le videochiamate ai suoi ragazzi da un letto d’ospedale. Non ha mai mollato un centimetro né in campo come calciatore, né fuori come allenatore. Vederlo a bordocampo seppur dimagrito e deperito, ha dato forza a molti coloro che purtroppo soffrono di questa malattia e non solo. Perché Sinisa ha dimostrato e sta dimostrando che non c’è niente di più sbagliato che indentificarsi con la propria malattia. Non siamo la malattia che abbiamo, siamo e resteremo sempre noi stessi nel bene e nel male.

Tanto si sta discutendo in merito a questo esonero. Da un lato c’è chi reputa la scelta societaria giusta in quanto Sinisa va trattato come un normale allenatore e perciò non bisogna far leva sulla sua malattia; dall’altro invece c’è chi contesta tutto questo e critica le società di calcio diventate ormai aziende senza cuore. Nessuno potrà mai dirci come siano andate davvero le cose. Che il calcio sia cambiato e sia ormai nelle mani dei procuratori e dei soldi è risaputo. E’ andata perduta da tempo quell’atmosfera familiare che i vecchi presidenti sapevano creare intorno ad una società. Ma non per questo non possono nascere forti legami anche ora.

Ciò che vale la pena ricordare è la forza di un allenatore e di un uomo che ha saputo riportare in alto una società a rischio retrocessione dandole un carattere ed una forma mentis che resterà sempre impressa nel dna dei calciatori. Mihajlovic ha saputo proporre il suo gioco offensivo e di carattere riuscendo a dare spazio anche ai giovani valorizzandoli. La sua favola senza lieto fine con il Bologna termina qui, ma noi gli auguriamo di vivere per sempre felice e contento ovunque deciderà di andare.

Qualunque maglia vestirò non sarò mai un avversario, ma sempre uno di voi!”.