Quando Roger Federer e Rafael Nadal si incontrano per la prima volta in finale a Wimbledon, nel 2006, Roger è già il Re, legittimo sovrano del trono inglese.

Roger Federer ha 25 anni, è da tempo l’artista assoluto dei campi da tennis. La sua classe, la sua tecnica, la sua postura elegantissima ne fanno l’idolo indiscusso del mondo della corte, prima di tutto di quella britannica.

Rafael Nadal ha appena vent’anni ma si è aggiunto di prepotenza al circolo dei vincenti. Sulla terra battuta è un autentico fuoriclasse (ha già battuto Roger a Parigi) e ha scalato velocemente le gerarchie.

Non hanno pressoché nulla in comune.

Rafael, o Rafa, come lui stesso preferisce, è un animale da combattimento, fuoco e sangue. La sua tecnica lascia a desiderare ma ha dentro una forza, un agone che immediatamente accendono una spia nella testa del sovrano svizzero.

È lui, il suo più pericoloso antagonista.

Si incontrano lì, al Centre Court, tre volte di fila. Alla finale del 2006 seguono quelle del 2007 e del 2008. Tre gare splendide che culminano nell’ultima,  passata alla storia come una delle più belle in assoluto, in cui alla fine del quinto set lo svizzero si arrende alla tenacia del ragazzo di Maiorca. 

Comincia così per me, ufficialmente,  la storia della rivalità più bella di sempre: quella di Rafa & Roger.

Perché vedete, Federer e Nadal non sono stati due semplici rivali. Nel mentre che dominavano per anni la scena tennistica, da ragazzi intelligenti quali sono, hanno incominciato a studiarsi a vicenda.

Rafael ha sempre nutrito un’ ammirazione sviscerata per Roger. Sa che gli è tecnicamente superiore, conosce i suoi limiti.

Ma proprio questa consapevolezza lo spinge a lavorare in maniera quasi maniacale sui suoi difetti, instancabilmente, senza riserve. Roger è per lui come un limite da eguagliare e, se possibile, superare.

Allo stesso modo, Federer impara a guardare con il giusto rispetto il più giovane avversario. Per lui, abituato quasi a non sudare con gli altri, questo giovane spagnolo è il primo da tenere d’occhio. Il primo con cui deve fare più fatica, con cui viene messo alle strette ed è costretto a perdere terreno.

Rafa e Roger crescono prendendo costantemente le misure l’uno all’altro, di continuo, perché cambiano e si modificano alla ricerca dei rispettivi punti deboli e punti di forza.

La finale degli Australian Open 2009, vinta da Nadal, segna una sorta di spartiacque tra i due.

Nadal esce vittorioso, ma invece di gioire, quasi si giustifica con il pubblico per aver battuto il loro beniamino. Dall’altro canto, Roger si lascia andare a un pianto liberatorio, scendendo dal trono e mostrando tutta la sua splendida fragilità, messa a dura prova dall’avversario oramai storico.

Ecco, da lì in poi Federer e Nadal saranno ancora rivali, ma anche, e soprattutto, amici. Il loro legame, fuori dalla corte, si rafforza.

Imparano a conoscersi come due giovani della loro età, con i loro pregi e i loro difetti.

Ma, ciò che più conta, attingono entrambi alla loro umanità, alla condivisione degli stessi valori, al rispetto e all’ammirazione reciproci. A quell’umiltà che così bene li incarna e che ha permesso loro di capire che vincente non significa perfetto.

Ogni vittoria, ogni sconfitta vengono vissute in maniera diversa, perché non sono più Federer e Nadal. Sono Roger & Rafa. E in fondo, vincono insieme e perdono insieme.

Diventano infine i Fedal.

Nel mondo dello sport ci sono state tante, tantissime rivalità. La prima che mi viene in mente è quella tra Senna e Prost, ma anche quella tra Lauda e Hunt, per esempio. Rivalità in cui amiamo esasperare il concetto di “uno VS uno”, perché in fondo schierarci ci piace e ci riesce facile.

Ebbene, questo non è possibile con Roger e Rafa.

Non c’è schieramento perché in fondo sono le due metà imperfette di un solo meraviglioso atleta, completo e invincibile. Ma proprio in quanto umani, conservano le loro individualità così preziose nella loro umana incompiutezza e sentono il bisogno di avvicinarsi l’uno all’altro.

Per dirla con una metafora che mi sta particolarmente a cuore, sono “due facce della stessa moneta”. 

Questo rapporto così singolare, unico, ci ha allietati e arricchiti fino a ieri, quando Roger Federer ha deciso di salutare il tennis e il suo pubblico. All’età di quarantun anni, anche il Re più glorioso deve abdicare.

Non lo fa da solo però: accanto a sé vuole il rivale e l’amico di sempre. Quello senza il quale avrebbe sicuramente una bacheca più piena, ma un animo più vuoto.

Il doppio disputato per la Laver Cup, l’uno al fianco dell’altro come già accaduto in passato, è il loro ultimo canto del Cigno. Niente rivalità: solo la loro amicizia, che brilla sotto le luci dei riflettori e nelle lacrime che nessuno dei due riesce a trattenere. Si tengono per mano, quasi come se il gesto potesse ritardare ciò che è inevitabile. 

Roger è sempre stato l’avversario da battere. Invecchiando, il nostro rapporto è migliorato costantemente, perché abbiamo capito di avere tanto in comune. Con il suo addio al tennis se ne va anche una parte di me (Rafael Nadal)

Dal mio canto posso solo dirmi onorata di aver vissuto il tempo dei Fedal.

Un tempo fatto di partite in corte meravigliose, piene di atletismo e di gesti tecnici. Non solo. Sono onorata di poter testimoniare che lo sport è vincere e perdere, certo; ma è anche rispetto, sostegno reciproco, ammirazione e lealtà.

Lo sostengo con fermezza, tra un sorriso e qualche lacrima, perché anche io, come Rafa, non sarò più la stessa da oggi. 

Lasciatemelo dire: nessun altro sarà mai iconico come loro. 

 

Daniela Russo