Si spegneva il 25 aprile di venticinque anni fa Andrea Fortunato, lasciando nel cuore di tutti il ricordo di un ragazzo gentile e innamorato del calcio, di quel calcio che troppo presto gli ha dovuto dire addio.

“Uno di quelli che guardi e pensi: ‘Ha tutto, non gli si può togliere niente’. Invece gli si può togliere tutto: prima il gioco, poi la vita” – Gabriele Romagnoli, LA STAMPA

 

A Perugia in tanti si ricordano ancora di lui. Di quel ragazzo esile, gentile, dal sorriso malinconico mentre partiva per sottoporsi alle sedute di chemioterapia all’ Ospedale Silvestrini. Sì, perché Andrea Fortunato, a Perugia, si era trasferito per giocare la finale della sua vita: quella contro la leucemia.

Un male arrivato come un fulmine a ciel sereno nella sua tranquillità di ragazzo di provincia, dotato di grande talento e partito da una piccola realtà come Salerno verso la più grande avventura che un giovane calciatore possa desiderare: la Vecchia Signora.

E lui sembra perfetto, per Madama: la sua cavalcata nel mondo del calcio è rampante, dalle giovanili del Como, passando per Genova e Pisa, fino a farsi notare da Giovanni Trapattoni che lo richiede fermamente nella sua rosa.

Arriva alla Juventus, Andrea, con l’etichetta di erede di Antonio Cabrini già appiccicata addosso. Lui però non ci sta:

Vi chiedo un favore, evitate i paragoni con Antonio. I paragoni non fanno bene a nessuno. E io ne ho tanta, di strada da fare!

 

Ha le idee chiare, il ragazzo, e anche un bel caratterino. Senza peli sulla lingua. Tanta, tanta determinazione: grazie ad essa diventa titolare nonostante, sempre più spesso, un malessere lo spossi e gli impedisca di dare il meglio di sé. L’energia vitale che normalmente ci si aspetta da un atleta ventiduenne, non si vede; arranca, chiede sostituzioni, sembra perennemente sfinito. I tifosi bianconeri, da sempre conosciuti per la loro severità, iniziano la protesta: è questo il sostituto di Cabrini? E’ un lavativo, non si allena, fa troppa vita notturna! Eppure i sintomi perseverano, si aggravano: durante gli allenamenti capita anche che Andrea perda i sensi.

Urge approfondire le analisi.

Il responso è terribile, il peggiore auspicabile: Andrea soffre di leucemia linfoide acuta, una forma che non assicura del tutto il trapianto negli anni ’90, ma almeno il tentativo di auto rigenerare le cellule dei donatori, prima tra tutti la sorella. Per cominciare la terapia però il ragazzo deve trasferirsi a Perugia: nell’ospedale della città umbra sono specializzati in tale trattamento. Fabrizio Ravanelli gli apre le porte di casa sua. Tutti gli si stringono intorno con calore, per aiutarlo a vincere la sua partita personale.

Andrea combatte, come sempre ha fatto, e come di più gli impone la maglia che ora indossa. Si sente ancora un giocatore – vuole continuare ad esserlo –  della sua Juventus. La cura dà i suoi primi frutti: prima fuori dalla terapia intensiva, poi gradualmente il terzino ritorna ad allenarsi tra i Grifoni di Perugia. I tifosi gli hanno presentato le loro più commosse scuse e i suoi compagni di squadra lo stanno aspettando a braccia aperte. Tutto sembra suggerire un lieto fine, ma…

Non è stato così. Due soli mesi è durato il sogno di guarigione, di ripresa, di vittoria. Andrea Fortunato muore il 25 aprile del 1995 intorno alle  8 di sera, una polmonite fulmina il suo organismo troppo debilitato dalla battaglia contro il cancro.

Fortunato 2
Immagine Twitter

A noi, resta il messaggio di non dimenticare mai che i calciatori sono prima di tutto uomini. Non è compito nostro giudicarli o condannarli. Non conosciamo le loro motivazioni, i loro drammi… Andrea Fortunato è stata una stella luminosa nel cielo bianconero, passata a grande velocità eppur lasciando una scia indimenticabile. Oggi ci piace ancora immaginarlo come disse Gianluca Vialli ai suoi funerali: felice, mentre rincorre il pallone.

Anche se sentiremo sempre la sua mancanza.

Daniela Russo

(immagine copertina da storiedicalcio-altervista)