Nascere nel posto sbagliato,  crescere senza speranza, senza futuro. Con la voglia di lottare contro tutti e tutto, contro la fame. Contro la guerra. È ciò che ha vissuto Valon Behrami.

La guerra me la ricordo. Ero piccolo ma ho visto i miei genitori piangere. Un giorno mio papà è stato picchiato in mezzo alla strada e sarebbe anche potuto morire, così abbiamo deciso di andarcene in Svizzera dove, a novembre, faceva freddissimo. Piangevo. Piangevo. Piangevo. Io e mia sorella ascoltavamo le cassette con la musica del nostro paese e dormivamo in un albergo per rifugiati. Mangiavamo male e ci vestivamo grazie alla Caritas. La mia fortuna è stata saper giocare bene a calcio”. I ricordi sono chiari. Sembrano recenti. Eppure è passato un po’ di tempo, ma quegli anni possono riassumersi in due parole: pura sofferenza.

Behrami: “Dormivamo in un albergo per rifugiati. Mangiavamo male e ci vestivamo grazie alla Caritas. La mia fortuna è stata saper giocare bene a calcio”
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L’infanzia non è semplice, ma è lì che Valon forgia il carattere. Nasce nel 1985 in uno dei posti peggiori in cui un bambino potrebbe nascere in quegli anni: la Juvoglavia, a Titova Mitrovica. Una terra dilaniata da tensioni politiche. La guerra è aperta, la Jugoslavia sta crollando su se stessa. Nasce da una famiglia kosovaro-albanese. Le minoranze etiche vivono anni difficili, quella di Behrami è una di quelle. 

Nelle scuole e nelle Università viene abolito l’uso dell’albanese. La scelta è terribile: morire o emigrare. Ma fortunatamente i miracoli a volte accadono, soprattutto a chi non smette di crederci. Nella sfortuna, la sua famiglia è tra le più fortunate.

Riesce a scappare, destinazione Svizzera, canton Ticino, zona in cui il piccolo Valon muove i primi passi calcistici. Sul campo corre sempre, come a voler scappare da quel brutto passato che ha vissuto. Ora è in un posto felice.

In poco tempo arriva la chiamata della Nazionale, lo vuole in squadra. Valon sa di avere un debito con quella terra, e ora il suo cuore è rosso crociato. Non ci pensa due volte prima di accettare. Con quella maglia disputa 4 Mondiali. 

Ma dimenticare da dove è arrivato è impossibile. La vita da calciatore è bella, ma è i veri valori Valon li ha conosciuti da piccolo:

Avrei preferito restare a vivere nella fattoria di mia nonna tra le pannocchie, gli alberi e gli animali dove mi sentivo a casa piuttosto che diventare calciatore. Il mondo del calcio me lo sono goduto a pieno ed è stato tutto fantastico, dalle belle macchine alle culture nuove che ho avuto la fortuna di conoscere e apprezzare. Purtroppo però è un ambiente dove va tutto troppo veloce e si rischia di perdere di vista il valore di certe sfumature della vita. Io ho iniziato a giocare a calcio per alimentare una passione, per stare bene. Non per soldi. 

Il calcio ci ha salvato. Grazie al calcio sono riuscito a regalare una vita più serena anche ai miei familiari”, afferma Behrami. Con il calcio nasce una storia d’amore lunga anni. Quello sport salva lui e la sua famiglia e Valon gli è riconoscente a vita.

È il 2003 quando il Genoa mette gli occhi sul quel ragazzo biondo platino (“Questo colore ce l’ho da anni. Lo tengo per scaramanzia: quando decisi di cambiare mi ruppi il ginocchio. Non mi pare il caso di rischiare”, ha detto in un’intervista). Valon scende in campo e le partite in casa le gioca al Marassi. Ma le sue qualità le fa conoscere nelle stagione 2004-2005, quando veste la casacca dell’Hellas Verona in Serie B, tanto che lo acquista la Lazio e lo porta in Serie A. La meta successiva è il West Ham: “I primi giorni la gente diceva “How is this guy?”.

Valon si fa conoscere, si fa apprezzare e rispettare anche in Inghilterra.

Quell’innata capacità di non arrendersi mai di Behrami
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Perché quell’innato bisogno di non mollare, di non arrendersi mai gli pompa nelle vene: è un uomo che si è costruito da nulla dopo aver attraversato l’inferno della guerra. Questa è la bellezza dello sport, la sua essenza. Superare tutto nonostante e difficoltà e diventare grande.

Ora, con i suoi risparmi, può ricostruire le case distrutte dei suoi familiari in Kosovo. Può guardarsi indietro e “Sorridere dei guai”, come direbbe il grande Vasco. 

Sara Montanelli