A distanza di undici anni dal 19 maggio 2007, Buffon saluta la Juventus e chiude un ciclo, quello dei “reduci storici” che avevano accettato la retrocessione e che hanno accompagnato la rinascita della Signora

 

Lacrime, applausi, strette di mano, e poi ancora lacrime e abbracci: mentre Gianluigi Buffon saluta così il popolo bianconero, il 19 maggio 2018, nessuno ricorderà che esattamente undici anni fa, sul campo dell’Arezzo, stava festeggiando il ritorno in Serie A insieme a Pavel Nedved, Mauro Camoranesi, David Trezeguet e Alessandro Del Piero.

Cinque giocatori che avevano calcato i palcoscenici sfavillanti della Champions, vissuto le notti magiche di Berlino e avvezzi a ben altri terreni di gioco, che si ritrovavano –  su un campo di provincia con una maglia rosa celebrativa –  a ridere e a cantare come bambini, per dimenticare una ferita enorme e dolorosa. Una ferita che loro stessi, nove mesi prima, si erano impegnati a risanare assumendosi l’arduo compito di non abbandonare la nave e tenere duro, pur di riportare la Juventus là dove le competeva.

(immagine Amino apps)

Buffon è stato l’ultimo anello di quella catena che ha collegato la vecchia Juve alla nuova, una catena di DNA juventino che a mano a mano con il tempo e con gli eventi è andata sciogliendosi, non senza aver raggiunto la sua missione: quella di trasmettere ai più giovani e ai nuovi il senso di quella maglia bianconera, l’esempio di cosa voglia dire “fino alla fine”, lo spirito di chi sa che pur in difficoltà, dilaniato, dato per vinto, la  missione resta quella di ‘non morire letteralmente mai’.

Ognuno di loro cinque lo ha fatto a modo suo, con i suoi tempi e le sue caratteristiche stagione dopo stagione, assumendosi responsabilità scomode, stringendo i denti, mentre questa squadra cambiava pelle a mano a mano. Gianluigi Buffon è stato il più longevo e – diciamolo pure – il più fortunato: ha scritto la storia, fino a entrare nel Mito. Ha sfiorato per ben due volte la possibilità di agguantare l’unico trofeo che gli manca – quella maledetta Coppa – e ha continuato a macinare record su record.

Lascia un’eredità pesante. Pesante non solo per numeri, ma quanto per responsabilità. Guardando nella Juventus di oggi, capitan Chiellini – che pure era assieme a loro, in quella stagione di B – dovrà lavorare sodo per fare proseliti. Quello zoccolo di ‘juventinità pura’, centellinato nel tempo, resta solo a Barzagli e Marchisio, il cui futuro, a oggi, è tutto da scrivere ancora.

Mai come ora, Pavel Nedved sarà chiamato a fare la differenza. Certo, sul campo è un’ altra cosa rispetto al ruolo odierno, e nessuno come la ‘Furia Ceca’ sapeva far parlare meglio il terreno di gioco: ma se è vero che Buffon chiude un ciclo , non è certo la riconferma – assai probabile – dell’allenatore che rispolvererà l’istinto bianconero di questa squadra. Per l’inizio di una nuova era da vincenti occorre che chi resterà ( e il quadro è ancora troppo indefinito per fare previsioni) venga istruito al meglio su cosa voglia dire, veramente, indossare la maglia della Juventus.

Daniela Russo

(immagine Getty)