Tra qualche giorno si disputerà la finale di Supercoppa Italiana: sarà ancora una volta Juventus- Lazio, ancora una volta, all’Olimpico di Roma.

Soltanto tre mesi fa ero presente alla finale di Coppa Italia… Occasione in cui, per tutta una serie di vicissitudini, mi ritrovo a dovermi accontentare dei distinti della tifoseria avversaria, se proprio voglio vedere la partita. E io, ovvio, voglio vederla…Noia? Tutt’altro!

Entro allo stadio e mi siedo accanto a due ragazze, mostrando la faccia più angelica e innocente di questo mondo: niente che denoti la mia fede bianconera. Intorno a me, una folla di sciarpe e bandiere biancocelesti, immagini di Giorgio Chinaglia, tatuaggi di aquile a go-go, e un ragazzo che mi consegna un foglietto con la spiegazione per la realizzazione della coreografia…No, però, la coreografia no! Non ce la posso fare…

 

Di necessità virtù, dicono. Le squadre entrano in campo e l’ingresso della Juventus viene accolto con un’aggressività niente male. Mi sa proprio che devo partecipare, a questa coreografia: così magari mi lasciano guardare la partita “in pace”. I miei amici, tutti rigorosamente nella curva Sud che ospita la tifoseria juventina, mi fanno sapere che è bellissima: un’aquila, con la scritta S.S. Lazio. Il tifo degli ospiti invece non si è sprecato, non vedo proprio nulla di speciale di fronte a me.

Durante la partita vorrei potermi arrabbiare con le mie vicine, ma proprio non ci riesco, mi fanno sorridere. Sono sfegatate, eppure quella che mi siede a destra tradisce, nel suo modo di parlare, una sottile ammirazione verso la Juventus, soprattutto quando tocca la palla il nano malefico, alter ego del nostro Paulo Dybala: malefico ma fortissimo, cito testuale. E poi altri commenti del tipo: “Sono incredibili in difesa”, “Ci massacrano come sempre in pochi minuti”, frutto di consapevolezza e obiettività, cose cui non sono abituata, avendo troppo spesso a che fare con i tifosi napoletani che sono l’esatto opposto, quando si parla della Juve.

La Signora archivia la pratica in circa venti minuti, in scioltezza: le reti di Bonucci e di Dani Alves incatenano il risultato sul 2-0, che resterà invariato fino alla fine. Sicura della solidità della mia squadra mi godo la partita, ma soprattutto il comportamento degli aquilotti. Mentre la curva bianconera, a parte l’esultanza per i gol, resta alquanto silenziosa, i biancocelesti cantano canzoni appassionate, agitano le bandiere, sventolano in aria le sciarpe, in continuazione: fino al novantesimo e al recupero.

E’ uno spettacolo che m’incanta: questo affetto ancor più forte quando si è sconfitti in parte mi è estraneo, perché io vengo da una tifoseria sazia, avvezza alla vittoria e dunque ipercritica e incontentabile, che spesso dimentica che il vero amore è nel bene e nel male, che essere dei supporters significa offrire sostegno nei momenti di difficoltà. Ripenso a ciò che leggo sulle pagine social quando la Juventus consegue anche solo un pari piuttosto che una vittoria e il tutto, confrontato al panorama che mi circonda, mi sembra puro delirio.

Al termine della partita non posso gustare bene i festeggiamenti dei miei amati undici, visto che sono dall’altra parte dell’Olimpico. Ma ecco un altro momento di sportività: gli Irriducibili chiamano Inzaghi e i suoi sotto la curva. I giocatori applaudono, i tifosi applaudono, anche Olimpia, bellissima, assiste al momento. Mi unisco sinceramente agli applausi: bravi, ragazzi.

La curva biancoceleste pian piano si spopola ed io resto quasi da sola, a guardare la premiazione e a cantare l’inno bianconero, almeno questo posso farlo. La vittoria sul campo, come sovente accade, porta il nome della Vecchia; il tifo esemplare però, per stasera, ha le sembianze di un’aquila azzurra e bianca.

 

Daniela Russo